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Alberto Tarantini, una vita di corsa

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Alberto Tarantini: corri uomo corri

Un continuo sali e scendi tempestoso nella sua vita, tra gloria e depressione, gol e droga, donne e dittatori, vittorie nello sport e sconfitte nella vita. Una vita impetuosa come lo erano quelle sue discese sulla fascia sinistra, che fosse quella del Boca, della nazionale argentina o dei club europei dove ha giocato. Certe gente nasce per correre, sempre. Dentro un rettangolo verde e fuori, nella vita.

Correre, saltare gli ostacoli, e poi ancora correre, senza fermarsi mai. Alberto Tarantini è uno di questi. Piedi educati su un fisico prestante e una testa riccioluta che te lo faceva subito distinguere in campo. Questo era, ed è ancora oggi Alberto Tarantini, per tutti “el conejo”, per via dei denti prominenti.

Un infanzia non facile

L’infanzia non è delle più facili. Nonostante il padre fosse un poliziotto, la famiglia numerosa, sette figli, li fa vivere al limite della

miseria. Spesso, piu’ dentro che fuori. E’, inoltre, costellata da lutti: tre fratelli di Alberto moriranno giovanissimi, tra i 3 e i 12 anni.

Lo stesso padre non si riprenderà mai completamente da queste botte.

Trova il suo unico momento di felicità nel seguire quel ragazzino spilungone nei suoi allenamenti, nelle sue prime partite nella squadra del cuore: il Boca Juniors.

Un predestinato

In Argentina c’è la dittatura feroce dei militari. Non è facile viverci. Alberto affronta i dolori familiari e quelli di una vita difficile, facendo benissimo l’unica cosa che gli riesce spontanea: correre. Nella vita e dietro ad un pallone. Aspetti non separati, ma sincronizzati. Alberto incomincia a fare tutta la trafila delle squadre giovanili, a vincere tornei, ad essere considerato.

E così parte per la Francia per l’importante torneo giovanile delle nazionali, che si svolge a Tolone. Veste la maglia della selecciòn albiceleste insieme a futuri campioni come Jorge Valdano e Americo Gallego, vince il torneo e si fa notare. Al ritorno, dopo esserlo andato a prendere all’aeroporto, suo padre muore d’infarto.

Il primo mobbing calcistico

Non sono ricchi, i Tarantini. Così Alberto chiede i soldi per pagare le esequie del padre al suo presidente, Armando. Credeva di essere in una famiglia. Si accorge di essere invece solo un orfano, dal gran futuro, ma pur sempre un maledetto orfano. Armando gli chiede di sottoscrivere una clausola in cui Alberto si impegna a restituire il denaro.

Ma Alberto Tarantini non potrebbe fare una vita di corsa se non fosse così come è. Ribelle, sfrontato, orgoglioso. Unico. Lui stesso la racconta così ““Gli tirai in faccia il denaro, pretesi di vedere il mio contratto con il Boca, lo strappai davanti ai suoi occhi giurandogli che da allora in poi sarei stato il suo peggior incubo”

Il ragazzo, sdegnato, rifiuta la proposta e, anzi, straccia il contratto, promettendo di fargliela pagare. Ma non è facile . Rimane due anni a minimo salariale, vince anche la Libertadores, ma rimane ai margini della squadra. E quando finalmente è libero di trovarsi una squadra, scopre che il suo presidente ha ordito una sorta di mobbing nazionale contro di lui. In pratica, nessuna squadra argentina gli offre un lavoro!

Mundial 1978

Alberto Tarantini, in pratica, si trova disoccupato. Tremendo, per uno abituato a correre, sempre. Tremendo perché è il 1978. E non è un anno come gli altri. E’ la stagione del campionato mondiale. Quello di Argentina 1978. Il mondiale da vincere, ad ogni costo, perché così vuole il dittatore Videla. Il giorno della finale, alla destra del dittatore in tribuna d’onore siedeva proprio Licio Gelli, ex repubblichino e gran maestro della loggia massonica eversiva P2!

E se lo si vuole vincere, bisogna che ci sia anche Tarantini, così pensa Luis Cesar Menotti, il selezionatore, da tutti conosciuto come “el flaco”. Già deve fare a meno del capitano storico della nazionale, quel Jorge Carrascosa , soprannominato “el lobo”, il lupo, esterno destro di classe dell’Huracán. Sarebbe toccato a lui alzare la Coppa del Mondo ed entrare nella storia. Ma pochi mesi prima del Mundial, decide, appena trentenne, di ritirarsi, in aperto contrasto con il dittatore, scegliendo semplicemente di non stare più al gioco.

Ma torniamo al nostro Alberto, “el conejo”. Lui, Menotti, Tarantini l’ha avuto in quella nazionale giovanile che stravinse Tolone. Sa che quel cuore, quei polmoni, quelle gambe, sono necessarie al suo piano tattico, anche al netto di quel carattere non proprio conciliante. Alberto viene così convocato, nonostante quasi tutto l’anno rimanga fermo. E le gioca, le partite del mondiale, tutte da titolare, laureandosi Campione del Mondo!

Mai banale, il ribelle Alberto!

Menotti sa che Tarantini non è uno dei sostenitori di Videla, un tiranno autore di uno dei momenti più bui di quell’Argentina. L’Argentina, il paese delle mamme dei “desaparecidos”. Alberto lo sa, conosce quella disperazione. E non fa niente per nasconderla, per tacitarla. Anzi!

Tarantini si fa personalmente carico di una richiesta riguardante la sorte di alcuni suoi amici “desaparecidos”. Tarantini era in un bar quando arrivò l’esercito e sequestrò varie persone, tra le quali i suoi amici. Ancora oggi sono desaparecidos. Colse l’occasione di rivolgersi a Videla in persona, in una festa organizata dal quotidiano Clarín in onore della selezione e, parole di Alberto, “Videla me sacó cagando”.

Si fermasse qui, il nostro riccioluto argentino! Sfrontato, abbiamo detto. Infatti, in un’altra occasione negli spogliatoi, dopo una partita, scommise con il compagno “gaucho” Passarella che avrebbe stretto la mano all’odiato presidente solo dopo essersi toccato le parti basse per bene. E lo fece!

Videla iniziò il giro per le congratulazioni fino a che non arrivò a Tarantini che togliendosi la mano dalle mutande strinse con vigore quella dell’attonito dittatore! La vendetta per averlo mandato a cagare, al Clarìn!

Sbornia Mundial

Terminato il Mondiale, trionfalmente, Tarantini deve di nuovo cercarsi una squadra. In Argentina continua a non esserci posto per lui, nonostante il titolo di “campeòn”. Lo vuole il Barcellona, e sembra tutto fatto, tanto che la Panini lo omaggia con una foto che lo ritrae con la maglia del Barcellona!

Siccome, però, le caselle per i stranieri sono piene, Alberto dovrebbe accettare un finto matrimonio con una ragazza spagnola per essere “naturalizzato”. Figurarsi! E siccome Alberto non è tipo da preoccuparsi di correre, nella vita come sul campo, se ne va in Inghilterra, al Birmingham City.

La sua avventura dura poco, perché finalmente trova posto in una piccola squadra argentina, il Tallares. Da lì passa ai rivali di sempre del Boca Juniors, il River Plate, nel 1980. E’ la sua vendetta nei confronti non del Boca, ma nei confronti del presidente Armando. C’è una partita solo, nella testa di Alberto. E’ il Superclassico, che vede impegnati Boca e River. Il momento piu’ atteso dagli sportivi argentini.

E da Alberto Tarantini. Talmente atteso che il suo allenatore, Labruna, fa trapelare la notizia che Tarantini non l’avrebbe giocata, quella partita. E’ uno scherzo, un modo per incitarlo, ma Alberto non lo sa e la sua reazione è violenta. Labruna, serafico, non si scompone e gli risponde così “ guarda che la partita la giochi, volevo solo vedere quale sarebbe stata la tua reazione”.

La reazione? Il River vince in casa del Boca per 5 a 2, e Tarantini, manco a dirlo, è fra i migliori. Non può non partecipare anche al mondiale di Spagna del 1982, il primo dell’era Maradona. E, quando all’indomani della fallimentare spedizione iberica, Menotti deve lasciare il posto a Bilardo, lo fa affermando che “Lascio in mano un’ottima squadra, Tarantini più altri dieci”, dove uno dei dieci è proprio il Pibe de Oro!

Ma Bilardo non ama le teste calde come Alberto, e ad Alberto non rimane che cercare un po’ di spazio di nuovo in Europa, prima con il Bastia e poi con il Tolosa per poi chiudere in Svizzera con il San Gallo a trentaquattro anni.

Correre nella vita

Alberto quindi decide di non correre più nel rettangolo verde, ma lo deve fare in quello più ampio della sua vita, come sempre. Una corsa ad ostacoli dove, a volte è proprio lui a mettere gli stessi. Dopo tutto se hai giocato correndo sempre a mille all’ora non è che puoi fermarti di botto.

E così nella sua vita compaiono nuovi nefasti compagni di squadra: risse, cocaina e alcol gli procurano un sacco di problemi ed anche il pernottamento in qualche cella, più frequentemente le vacanze forzate in qualche clinica per disintossicarsi. E’ una discesa che sembra senza fine, lui che non ha famiglia e che non ha più il calcio come sostegni.

Ma, prima di toccare il fondo definitivamente, trova una donna, Adriana. Che lo capisce come lo capiva suo padre, come lo capiva Menotti. E lo aiuta usando lentezza e calma, due concetti contrari, e sconosciuti, al suo sfrenato correre, fino a donargli una nuova vita.

E con essa a ritornare al suo unico vero amore, il calcio. Prima come collaboratore nelle giovanili e poi come appassionato commentatore sportivo. Ma ti accorgi, anche in queste nuove vesti, che dietro a qualche capello bianco, c’è sempre lui, “el conejo” Tarantini.

L’uomo che sapeva correre e che oggi, se si ferma un solo attimo, può guardarsi dietro e dire “Sono un uomo grato al destino”.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Antonio Mattera)

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