Il Fatto Quotidiano racconta i big che sfondavano nell’Europeo e che si dimostravano calciatori normali in Italia. Ecco un estratto.
[…] Ibra, Trezeguet, Modric, Nedved, ma anche Zavarov, Arshavin, Joao Mario, Milosevic: vetrina d’eccellenza o bottega delle illusioni gli Europei, da sempre. Da quando il Verona individuò quello che tutt’ora auspica diventi sindaco della città: Preben Elkjaer Larsen, che nell’84 portò la Danimarca fino alle semifinali, convincendo la dirigenza dell’Hellas a sborsare 2 miliardi e mezzo di lire ai belgi del Lokeren per accaparrarselo: mica male, visto che coi suoi gol regalò uno scudetto storico agli scaligeri. Nel 1988 invece in vetrina ci finirono inevitabilmente l’Olanda e la Russia: degli Orange nel Milan c’erano già Gullit e Van Basten, non c’era Rijkard, però, e Braida per acquistarlo dovette passare brutti momenti, coi tifosi dello Sporting Lisbona inferociti tanto da dover nascondere il contratto tra gli indumenti intimi. Nella truppa di Lobanovsky spiccava la classe di Zavarov: la Juventus dovette smuovere anche le paludi burocratiche sovietiche per assicurarsi quel calciatore che aveva portato assieme ai compagni l’Unione Sovietica fino in finale. Aspettative notoriamente disattese, come per tutti i compagni di Zavarov che superarono i confini, da Dasaeev a Rats ad Alejinikov.
