Storie di Calcio

Il ricordo mai tramontato di “un’estate, un’avventura in più”

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Danilo Sandalo) – “Un’estate, un’avventura in più”, non è solo una strofa della canzone cantata da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, scritta per celebrare l’evento di Italia 90, ma proprio quello che si realizzò durante quel periodo. Una sorta di destino collettivo che ci vedeva accomunati, ognuno nella propria dimensione, verso un sogno ed un percorso che non aveva un piano prestabilito, ma che poco alla volta prendeva luce e forma. Un po’ come la tela di un pittore che non esiste, se non nella testa dell’ artista che si appresta a realizzarla.
Un periodo storico particolare, caratterizzato dal passaggio del “testimone” tra gli anni ’80 ed i ’90 i quali poi ci avrebbero condotti all’ ingresso del nuovo millennio.
L’ Italia, chiamata in causa fin dal 1984 per organizzare i Campionati del Mondo del 1990,  è pronta a fare la sua parte agli occhi del mondo intero. Un’appuntamento troppo importante con la storia per poter passare inosservato, anche in virtù dei tantissimi cambiamenti geopolitici, economici ed ideologici che il mondo aveva visto fino a quel momento e che era giusto oramai lasciarsi alle spalle.
Anche per questo motivo fu proprio “un’avventura in più”, o meglio, si trattò di un’avventura immersa nell’avventura di avventurarsi provando ad essere i migliori con l’impegnativo compito di essere i padroni di casa e pertanto di dover dimostrare di non essere lì per caso. Accantonando il gioco di parole fin troppo “avventuriero”, dal quale non potevo proprio esimermi, va considerato il fatto che l’Italia in quanto a tradizione calcistica in quel periodo non era seconda a nessuno, considerando che nel nostro campionato giocavano i migliori stranieri in circolazione, da Maradona a Matthaus, passando per Gullit e Van Basten, senza dimenticare Careca, Dunga o Thomas Skurhavy, giusto per citarne qualcuno.
Forse anche per questo motivo agli azzurri stava stretto il ruolo di fare “solo” i padroni di casa per permettere ai migliori atleti del pianeta di potersi esibire e, perchè no, sfilare. E sicuramente risultava stretto anche ai tifosi i quali riponevano nella squadra di Vicini grande fiducia e speranza.
E così fu. Il 9 giugno del 1990 a Roma va di scena la prima partita del girone di qualificazione degli azzurri: avversario di turno la non temibilissima Austria. L’Italia parte forte trascinata anche dal caloroso pubblico dell’Olimpico, ma il risultato resta inchiodato sullo 0-0. Così al minuto 77’ Azeglio Vicini decide di sorprendere tutti e mandare in campo il giocatore meno atteso e meno dotato tecnicamente, ma con uno spirito agonistico e di rivalsa capaci di invertire anche il regolare scorrere di un fiume: il suo nome è Totò Schillaci! L’attaccante palermitano entra al posto di Andrea Carnevale e dopo soli 2 minuti dal suo ingresso sigla il gol che regalerà la vittoria agli azzurri, mandando in delirio non solo i tifosi presenti sugli spalti, ma tutto il popolo italiano, spianando la strada verso la qualificazione.
Da lì in poi sarà un’ascesa continua, un mix di emozioni fatto di armonia, spensieratezza, rivalsa, dignità, sentimento, orgoglio tutto grazie alla determinazione di un gruppo favoloso, guidato da un CT dai grandi valori umani, dove spiccavano due giovincelli tutti “gioia e fantasia” che portavano il nome di Roberto Baggio e, appunto, Totò Schillaci.
Inutile dirlo ma grandi meriti della bellezza di quel mondiale vanno proprio a questi due ragazzi, ma se sul futuro Divin Codino è stato detto di tutto e di più, apprezzandone negli anni a venire le doti tecniche, umane e, perché no, spirituali, sul suo compagno di reparto Totò Schillaci, si sapeva ben poco e anche il futuro non fece eccezioni. Tutto ciò che si poté dire su di lui era riconducibile a quell’arco temporale compreso fra giugno e luglio del 1990 e anche negli anni a seguire fu lo stesso.  La sua stella ha brillato per poco più di un’estate emanando una luce così radiosa probabilmente difficile da contenere e gestire. Una luce immensa e pura come i suoi occhi talvolta spiritati, talvolta increduli di fronte a una decisione più grande di lui, che fosse dell’arbitro o del fato poco importa.

Eppure, nonostante il risultato sportivo ci abbia condannato alla sconfitta ai calci di rigore contro i campioni uscenti dell’Argentina di Diego Armando Maradona, da quella stagione ci arriva ancora oggi una lezione di etica e di vita difficile da tralasciare, ma soprattutto impossibile non sentir propria. Con i suoi gol, arrivati quasi per caso, Totò Schillaci ribalta tutti i pronostici e le gerarchie iniziali che lo vedevano come ultima scelta, divenendo così una metafora di riscatto sociale e di orgoglio per tutte quelle persone che una spietata selezione naturale e sociale emargina troppo ingiustamente. Diviene di fatto il paladino degli ultimi ed invisibili che ogni giorno si trovano a combattere una personalissima battaglia contro l’indifferenza del mondo circostante. Ma principalmente, Totò Schillaci rappresentava l’orgoglio del Sud, di un Mezzogiorno dimenticato e calpestato dai tempi dell’Unità d’Italia fino ai giorni nostri, di una parte dello Stivale costretta a sacrifici enormi ma che ha sempre dignitosamente risposto positivamente e con grandissimo merito ogni qualvolta sia stata chiamata in causa.
Totò Schillaci con i suoi gol, gesti e mimiche facciali, tipiche di chi è scaltro ma genuino nell’animo, ci ha trasmesso la forza dell’umiltà e della determinazione, del metterci sempre il cuore oltre l’ostacolo, del crederci sempre e comunque perché nulla è impossibile, ma anche e soprattutto della vita contro la morte e della bellezza contro l’oscenità delle barbarie umane.
Ecco perché a distanza di 30 anni quell’esperienza è da considerarsi a tutti gli effetti “un’avventura in più” per tutti, o forse addirittura è stata la più grande avventura che noi ragazzi nati negli anni ’80 possiamo ricordare ancora oggi in modo indelebile e che ci porteremo per sempre dentro come un motivo d’orgoglio per provare a costruire un mondo migliore per le nuove generazioni, ma  sicuramente per non partire mai sconfitti dinanzi a nessuna difficoltà.


Noi ragazzini di quegli anni, soprattutto se originari di Regioni del Sud Italia, a Totò Schillaci siamo riconoscenti per averci trasmesso senza volerlo la caparbietà e la determinazione che solo chi ha “fame” di rivalsa può capire.
E vada per come sia andata, Totò non doveva essere il salvatore della patria e forse il destino ci aveva visto lungo in questo, allo stesso modo in cui però gli ha concesso l’opportunità di diventare capocannoniere assoluto di quel campionato del mondo e vincere così il suo personalissimo titolo .
Anche perché, chiunque in questi 30 anni in qualsiasi parte del mondo, dovesse aver parlato di Italia 90 non può con la mente non essere stato ricondotto alle più belle immagini di Totò Schillaci perché signori miei la vita è una ed i treni a volte passano una volta e Totò ha saputo dimostrarci come ci si salta sopra prendendosi tutte le rivincite che a un ragazzo del Sud le circostanze negano in partenza, ma che meriterebbe allo stesso modo di un suo qualsiasi coetaneo.
Di quell’estate rimarrà per sempre il sogno di “un’avventura in più” come un ricordo indelebile di chi quel cammino lo sta ancora percorrendo. A testa alta.

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