Storie di Calcio

Jorge Carrascosa, fuga dalla vittoria

Published

on

Jorge Carrascosa: El lobo

Alzi la mano chi ha sentito parlare di Jorge Carrascosa. Quando parliamo dei mondiali di Argentina del 1978, rammentiamo Mario Kempes, l’Olanda del calcio totale priva di Cruijff, la coppa alzata da Daniel Passarella, e persino la mancata convocazione di un giovanissimo Diego Armando Maradona. Pochi conoscono Jorge Carrascosa, chiamato “el lobo “, ” il lupo”, e la sua storia. La quale è una di quelle che va raccontata.

Date!

24 Marzo 1976: il giorno del sanguinario golpe di Videla in Argentina. 24 marzo 2016: il giorno della morte di Johan Cruijff, il poeta del calcio. In mezzo a questi quarant’anni ,che separano queste due date, c’è lui, Jorge Carrascosa, terzino destro tutto grinta e anima dell’ Huracan. E capitano della “albiceleste”,la nazionale di calcio argentina, della quale vestirà per una trentina di volta i colori.

Un sottile filo, rosso come il sangue che verrà versato in quegli anni della dittatura argentina, unisce queste due date, e i loro protagonisti, Videla, Carrascosa e Cruijff. Perché, leggenda vuole, che il mitico olandese non abbia partecipato ai mondiali in Argentina, nel 1978, proprio per protesta contro il regime sanguinario dei militari guidati da Jorge Rafael Videla, responsabile di crimini contro l’umanità, culminati con l’orrore dei “desaparecidos” e delle “morti volanti”.

Alla kermesse argentina, per identico motivo, non parteciperà nemmeno un altro protagonista della finale del mondiale precedente, Paul Breitner, detto il “maoista” per la sua fede politica, centrocampista capellone della Germania campione del mondo quattro anni prima. E , soprattutto non parteciperà lui, Jorge Carrascosa, forse il meno conosciuto, ma colui che avrebbe dovuto alzare quella coppa, all’Estadio Monumental di Buenos Aires, davanti a più di 71 mila spettatori. Lui, non Daniel Passerella, se per una volta l’uomo non si fosse anteposto al calciatore.

I mondiali della vergogna

Quelli in Argentina sono i Mondiali fortissimamente voluti dalla giunta militare di Videla, Massera, Agosti, Astiz e degli altri amici golpisti. E gentilmente la FIFA glieli aveva concessi. E bisogna anche vincerli, logico! Altrimenti a cosa sarebbero serviti? Non si respira un aria salubre, nella terra delle pampas, in quei giorni. Le mamme e le nonne dei desaparecidos si ritrovano in Plaza del Mayo, muniti di foto dei congiunti scomparsi, figli, nipoti, mariti, sorelle, fratelli.

I militari, per intimidirle, assoldano anche gruppi di hooligans tra i tifosi più violenti dei barrios. Protestano mentre i loro cari vengono catturati, torturati, e uccisi. Di notte, voli aerei scaricano dal cielo, sull’ Atlantico, il loro carico umano di prigionieri, dopo averli narcotizzati. Le chiameranno le “morti volanti”.

Bisogna apparire belli e vincenti. Interi quartieri malfamati della periferia di Baires vengono rasi al suolo e gli abitanti deportati nella provincia di Catamarca. A Rosario, lungo il viale principale, viene eretto un muro con immagini dipinte di case belle ed accoglienti per nascondere quelle vere, povere, fatiscenti e malsane. Vengono arrestate più di 200 persone al giorno per evitare che parlino con i giornalisti stranieri.

I giornali si censurano da soli. Il tutto in uno stato ipnotico di trepida attesa per l’evento pallonaro. L’Argentina di Cesar Luis Menotti, detto “el flaco”, arriverà, sospinta da tanta classe e da non pochi aiuti, come la “marmelada peruviana”, sino alla fine. In quelle due ore della finale contro l’Olanda, si interrompono pure le torture all’Esma, la Scuola Meccanica dell’Esercito che distava un chilometro in linea d’aria dal terreno di gioco.

C’è tutto un paese in trepida attesa. Tutto tranne una persona, forse. Jorge Carrascosa.

El lobo Carrascosa

Jorge Carrascosa nasce a Valentin Alsina (Buenos Aires) il 15 agosto del 1948. Incomincia a giocare nel Banfield dove esordisce in prima squadra a 19 anni. Un paio di stagioni dopo arriva il trasferimento al Rosario Central con il quale “El Lobo”, “ il lupo”, così viene chiamato, vince il Campionato Nacional nel 1971. L’anno prima ha già esordito in Nazionale e il suo gioco ruvido ma tenace, di grande spessore agonistico e di capacità di grande concentrazione per tutti i 90 minuti ha già attirato l’attenzione dei tecnici della Nazionale argentina.

Nel 1973 Cesar Menotti lo porta all’Huracan e Carrascosa diventa pietra miliare di quella meravigliosa squadra che vince dando spettacolo il Metropolitano del 1973. Con lui, in quella squadra ci sono fra gli altri il suo grande amico René Houseman, Carlos Babington, Miguel Angel Brindisi che con Carrascosa faranno parte della spedizione ai Mondiali di Germania del 1974.

E proprio di quella manifestazione, Carrascosa, non avrà un buon ricordo. Anni dopo, ammetterà che la federazione argentina pagò un premio in denaro alla Polonia, già qualificata, per rendere la vita dura all’Italia, nello stesso girone con Haiti, Polonia e Argentina per l’appunto. “Questo non era più il mio calcio” dirà Carrascosa diversi anni dopo in una delle sue rarissime interviste “se un incentivo economico è lo stimolo per giocare meglio a questo meraviglioso sport vuol dire che c’è qualcosa che non va”.

24 marzo 1976

La Nazionale Argentina è impegnata in un tour all’estero e proprio quel giorno deve disputare una partita amichevole contro la nazionale polacca. Il suo capitano è Carrascosa. Ma è in quel giorno che Videla prende il controllo del paese. C’è caos, nel ritiro dell’albiceleste, come in tutto il paese. Le voci che arrivano dalla Patria natia sono confuse e contraddittorie.

C’è grande timore nei giocatori per le famiglie a casa. Carrascosa, Tarantini, Kempes e lo stesso selezionatore Menotti, sono uomini di sinistra, quindi apertamente contro il regime militare, potenziali sovversivi e oppositori al regime. La squadra vorrebbe rientrare immediatamente in Argentina ma arriva una telefonata di Videla “Voi pensate a giocare e a vincere. Anche questo è un segnale importante che dobbiamo dare al Paese”

Quella partita sarà l’unica trasmissione televisiva di quel giorno oltre ai continui comunicati della Giunta appena insediatasi. E’ in quel momento che Carrascosa decide che se l’Argentina vuole alzare la coppa al cielo, dovrà farlo senza di lui. Tutto avrebbe sopportato, tranne l’infamia di dover ricevere il trofeo dalle mani di un assassino come Videla.

Carrascosaa: Il gran rifiuto

Menotti lo vorrebbe convocare, naturalmente, e crede di convincerlo con queste parole “Lobo, sei il mio capitano e voglio che sia tu ad alzare al cielo la Coppa”. Ad un mese circa dall’ufficializzazione dei 22 convocati Carrascosa comunica a Menotti, con cui ha un rapporto di amicizia e stima, la sua decisione; non giocherà i Mondiali organizzati dal suo Paese e forse i primi, nella storia, dove l’Argentina ha realistiche possibilità di vittoria.

Non vuole essere “manipolato” e “usato” dalla propaganda dei Generali. Menotti lo chiama il giorno prima di diramare le convocazioni, per cercare di convincerlo. Carrascosa gli rispone semplicemente “E’ una decisione presa da mesi, come vuoi che cambi idea in un minuto?”

Non solo, al termine della stagione successiva, si ritirerà, a soli 31 anni, dal calcio lasciando anche la sua fascia da capitano nel suo amato Huracan (nonostante avesse ancora due anni di contratto) “Fu un atto di coscienza. L’uomo conta più dello sportivo anche se devo ammettere che non avevo idea dei rischi che potevo correre. Ma fu una decisione spontanea e per me del tutto naturale. Della quale non mi sono mai pentito.”

24 marzo 2016

Ecco, in questa data si chiude il cerchio che va da Cruijff a Carrascosa, passando per Videla e quei mondiali in Argentina. Il 24 marzo 2016, viene a mancare Johan Cruijff, l’altro capitano, quello dell’Olanda, che avrebbe dovuto giocare quella finale e contendere a Carrascosa quella coppa impregnata anche di sangue.

Che data quel 24 marzo! Il golpe, e nello stesso giorno, la morte di Cruijff “Mi è spiaciuto tanto. Era una persona con dei bei colori. Ho avuto la fortuna di giocare con lui, 3 partite in Brasile con la selezione del Resto del Mondo” dice Carrascosa.

Carrascosa: Un calciatore, un uomo, un granello di sabbia

Anni dopo, in una delle poche interviste che rilascerà, Carrascosa, in poche frasi spiega il suo essere uomo al di là del calciatore. “E’ vero che il calcio non è più quello di quando iniziai da ragazzo. Ma purtroppo neanche la vita è più così. Come puoi sentirti bene se mentre mangi un panino con il prosciutto crudo viene un bimbo a chiederti qualche pesos perché ha fame ? Non solo non ho giocato i Mondiali del 1978 ma non avrei neppure giocato quelli del 1982 mentre l’Argentina era in guerra con l’Inghilterra per le Malvinas, se avessi continuato a giocare e mi avrebbero convocato.. Posso pensare di giocare a calcio mentre ho un parente, un amico, un vicino di casa che stanno morendo su un campo di battaglia ?”

Poteva essere un eroe, un monumento vivente, una leggenda del calcio argentino e mondiale. Ha scelto di essere solo un uomo. Un granello di sabbia. Come ama dire lui. “Del golpe dico solo questo: credo che ognuno di noi possa fare qualcosa per rendere questo mondo migliore. E io, il mio granello di sabbia l’ho messo».

GLIEROIDELCALCIO.COM (Antonio Mattera)

più letti

Exit mobile version