Storie di Calcio

La prima intervista da milanisti di Gullit e Van Basten

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)

Nel Marzo del 1987 la Gazzetta dello Sport pubblicò un articolo a cura di Sergio Di Cesare nel quale raccontava al popolo milanista i due prodigi che di li a poco avrebbero impreziosito la truppa rossonera.

Van Basten e Gullit erano i pezzi pregiati del calcio europeo, “oggetti” del desiderio costruiti dal futuristico pallone olandese, da sempre fucina di talenti purissimi. Sui due assi c’erano già gli occhi puntati di parecchie compagini di A e di qualche armata spagnola, ma il sempre illuminato Berlusconi sembrava già essere davanti a tutti nella corsa all’acquisto.

L’occasione dell’intervista era stato il ritiro degli Orange a Zeist, la Coverciano d’Olanda. Un ritiro in vista della sfida contro la Grecia, valevole per le qualificazioni al Campionato Europeo 1988.

Tra i due campionissimi, il più abbottonato riguardo al trasferimento a Milano era stato sicuramente Van Basten. D’altronde c’era anche da capirlo: l’Ajax era ancora nel pieno della stagione, in lizza per conquistare tre titoli su tre. Nonostante queste premesse, però, Marco aveva lasciato trasparire quale sarebbe stato il suo futuro, sciorinando una serie di complimenti verso alcuni dei calciatori più rappresentativi di casa Milan:

“Sono felice per Virdis, per i suoi gol. L’ho visto in televisione e mi ha entusiasmato. La sua dote è quella che io definisco terzo occhio, tanto vasta è la sua visione di gioco. […] Ammiro anche Baresi, un libero che pensa soprattutto a costruire e non distruggere. […] Nella mia camera, appesa ad una parete, c’è già una maglia rossonera: ha il numero 8 e me l’ha regalata un giocatore del Milan, mi sembra Incocciati, nell’inverno del 1982”

E a proposito di maglie, i giornalisti italiani presenti quel giorno in terra d’Olanda avevano portato la casacca donata da Maldini al mitico Ruud, facendogli richiesta di indossarla. Il 10 olandese aveva gentilmente rifiutato, spiegando anche il perché del gesto e svelando alcuni retroscena della sua scelta italiana:

“Sarebbe una offesa per i tifosi del PSV, per i quali fino al termine della stagione continuerò a dare il meglio di me. […] Comunque ringrazio il Milan e Maldini per il gesto. […] Prima ho scelto il Paese, l’Italia, per il suo campionato. Poi ho scelto la città, Milano, per il suo carattere internazionale. […] Infine ho scelto il Milan perché, parlando col suo presidente Berlusconi, ho capito che sa quello che vuole. […] Non sarei mai andato a Torino nemmeno se il PSV me lo avesse imposto. E sapete perché? Perché la Juve, al contrario di Berlusconi, mi ha interpellato direttamente. Se mi voleva davvero, credeva forse che io fossi un oggetto sulla bancarella, acquistabile trattando esclusivamente col proprietario?”

Quella doppia intervista fu l’inizio dell’epopea orange in terra italiana, l’occasione per vedere da vicino i campioni che avrebbero fatto grande il Milan. Quel giorno non si sapeva ancora chi fosse stato il vate incaricato di costruire il mito. L’unico a saperlo era solo Berlusconi, il quale aveva già in cuor suo il progetto consegnare quell’armata di fenomeni nelle mani di uno sconosciuto allenatore venuto da Fusignano.

Da La Gazzetta dello Sport del 24 Marzo 1987

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