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Libri: “Il Football – La Psicologia del giocatore e dello spettatore” di F.J.J. Buytendijk, 1954

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Paolo Laurenza) – Gli “Sports” hanno da sempre avuto un ruolo sociale evidente: le manifestazioni che accompagnano lo svolgimento di “giochi” sono antiche se non come l’uomo quantomeno come il sorgere delle civiltà moderne. In passato oltre ad essere tendenzialmente più cruenti i “giochi” erano spesso sublimazione o riproduzione di atti bellici.

È nella seconda metà del secolo XIX che lo sport comincia a prendere una fisionomia simile a quella che conosciamo oggi: in Italia la prima federazione sportiva è quella ginnica (FGNI), che nasce a Venezia nel 1869. Quando pensiamo alla “ginnastica” dell’epoca dobbiamo pensare alle manifestazioni ginniche come ad un qualcosa che somiglia ad una piccola olimpiade: erano vari i giochi, e tra essi per diverso tempo figurò anche il Calcio.

Cosa poi abbia reso così popolare il Calcio e non la “Palla a Sfratto” è l’insieme di una serie di fattori. Comprendere poi cosa caratterizzi e muova questa popolarità è campo di studio delle Scienze Socio-Psicologiche.

Tra le prime pubblicazioni al riguardo c’è quella dello psicologo, antropologo olandese Frederic Jacobus Johannes Buytendijk che tenne una conferenza al XXV anniversario dell’Accademia di educazione fisica di Amsterdam. La conferenza oltre che all’interno di pubblicazioni più ampie è presente anche in un volumetto che Buytendijk pubblicò spinto da vari conoscenti che volevano far “arrivare” il suo lavoro ad un pubblico più ampio.

“Il Football – La Psicologia del giocatore e dello spettatore” è una lettura gradevole, alcune tesi proposte possono risultare non più attuali come probabilmente accade con ogni testo scientifico che ha superato il mezzo secolo, ma è curioso leggere oggi le sue riflessioni circa la “virilità” del gioco del calcio per cui a parte qualche raro caso il calcio femminile non viene praticato.

La prefazione italiana è di Guido Bersellini, vice direttore de “Il Sole 24 ore”, personaggio di spicco della cultura italiana nonché della resistenza; già nelle sue parole emerge il punto focale dell’analisi socio-psicologica, il grave errore in cui cadono presunti e sedicenti intellettuali che liquidano i fenomeni sportivi, ed il seguito che questi hanno, come fenomeni di poco conto.

Questa tutt’ora esistente ritrosia verso lo sport è il “leitmotiv” del testo, e viene ripresa in più punti; in primis perché il fondamento delle scienze psico/sociologiche ma anche antropologiche è quello di calarsi nel vissuto di un uomo e di una società, con “lo sguardo del cammelliere”, cioè di colui che viaggia e nel vedere luoghi e persone a lui sconosciuti non esprime giudizi, li vede per quello che sono, senza dare giudizi di valore. La differenza tra giudizio “di fatto” e giudizio “di valore” viene in questo senso rimarcata ed è importante comprenderla. Leggendo un tabellino dove si riporta che un dato giocatore ha fallito un calcio di rigore nessuno farebbe polemica, ma in un qualsiasi dibattito lo stesso concetto può essere travisato da semplice “giudizio di fatto” (tizio ha fallito un rigore) a giudizio di valore (tizio è scarso poiché ha fallito un calcio di rigore) dando origine a discussioni utili solo all’audience.

Tra i concetti più affascinanti con cui Buytendijk definisce il calcio ed il suo seguito vi è quello di “umanità compiuta”, un fenomeno che distingue nettamente l’uomo dagli altri animali per la sua complessità e compiutezza.

In una partita di calcio ci sono i calciatori ed i loro scontri fisici con l’avversario che oltre ad essere avversario è anche il compagno di gioco. Vi sono il rispetto delle regole e la disciplina dell’atleta (per quanto libertino un atleta che non sia un George Best o Maradona senza disciplina non va da nessuna parte). C’è poi la celebrazione del “ricalciare” il pallone, un gesto istintivo che chiunque ha fatto per strada per restituire la palla a qualcuno che stava giocando. Il gesto del “ricalciare” è certamente più istintivo e meno ragionato rispetto al “gettare” che avremmo compiuto tramite le mani e per questo forse affascina maggiormente.

In una partita di calcio c’è il pubblico che generalmente negli sport di squadra non si limita al ruolo di osservatore ma si percepisce e diventa un tutt’uno con lo spettacolo, favorito anche dal cerimoniale al quale il gioco è soggetto. Il pubblico vive comunque un ruolo ambiguo, si può essere partecipi quasi in trance oppure esaltare o criticare qualcosa o qualcuno. La partita di calcio viene vista come qualcosa di simile ad un concerto musicale, nel quale lo spettatore è immerso nella musica, non è semplice auditore.

L’autore osserva poi come il pubblico con l’abbattimento delle barriere sociali del ‘900, sia variegato e rappresenti un campione importante di una città una nazione o un continente, ed è anche non questa osservazione che porta Buytendijk a condannare chi trascura il fenomeno.

Anche il “Panem et Circenses” non viene riportato come un qualcosa necessariamente negativa, quindi non solo uno strumento di distrazione di massa per compiere chissà quali nefandezze: il pane ed il divertimento sono cose cercate naturalmente dagli individui e lo sport, il Calcio se parliamo di Europa, fornisce uno spettacolo che piace ed appassiona moltitudini di persone.

Infine Buytendijk vede solo pochi altri spettacoli paragonabili alle partite di calcio in Europa, tra questi riporta le Arene spagnole e le corride, ed anche qui come per il calcio femminile sembra che il corso degli eventi ha reso le osservazioni di Buytendijk superate dai fatti.

Il valore delle circa 70 pagine del volumetto e nella determinazione con la quale Buytendijk porta avanti il suo discorso, in un quadro che ci riflette aspetti della società degli anni ‘50, delle differenze e delle analogie con essa. Tra le analogie c’è sicuramente un campo di calcio, ventidue atleti e centinaia o migliaia di spettatori che si fanno tutt’uno in uno spettacolo nello spettacolo.

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