Roberto Baggio ha un piano per salvare il calcio italiano (Foto IG @ robybaggio_official - glieroidelcalcio.com)
Roberto Baggio ha un piano per salvare il calcio italiano (Foto IG @ robybaggio_official - glieroidelcalcio.com)
Roberto Baggio con le sue idee potrebbe essere, senza ombra di dubbio, la chiave per salvare il futuro del calcio italiano.
Quando si pronuncia il nome di Roberto Baggio, infatti, si accende immediatamente qualcosa nel cuore degli appassionati. Non è solo questione di nostalgia, di ricordi che affiorano spontanei, o di quel talento unico che sembrava appartenere a un calcio ormai irripetibile.
Baggio rappresenta un’idea, un modo di intendere il pallone che va oltre il semplice gesto tecnico. Però ciò che molti forse non ricordano, o che qualcuno ha preferito dimenticare, è che il Divin Codino ha già provato a cambiare davvero il sistema dall’interno. E lo ha fatto con un impegno profondo, lucido e soprattutto coraggioso.
La crisi della Nazionale Italiana non è certo nata ieri. Sono anni che il movimento azzurro arranca, tra mancate qualificazioni, progetti effimeri e un senso generale di smarrimento che fatica a dissiparsi. Già nel 2010, all’indomani della disastrosa spedizione mondiale in Sudafrica, qualcuno nella FIGC aveva capito che serviva una scossa vera. Ed è proprio lì che entra in scena Baggio, chiamato a ricoprire la presidenza del Settore Tecnico. Un ruolo che sulla carta gli avrebbe dato la possibilità di ridisegnare le fondamenta del calcio italiano, come un architetto incaricato di ristrutturare un palazzo storico che però rischiava seriamente di crollare.
Da quella nomina partì un lavoro impressionante per profondità e visione. Baggio si immerse completamente nel progetto, parlò con allenatori, dirigenti, responsabili dei settori giovanili, studiò modelli esteri, analizzò dati, confrontò metodologie. Tutto ciò sfociò in un documento enorme, un piano di circa 900 pagine che mirava a rivoluzionare l’intero sistema, dai vivai fino alla formazione tecnica. Era un progetto pensato per ricostruire, passo dopo passo, un calcio che già allora mostrava segnali evidenti di declino nonostante il trionfo mondiale del 2006 fosse ancora relativamente vicino.

Il dossier venne consegnato e presentato al Consiglio Federale nel dicembre 2011. Ci si sarebbe aspettati un confronto approfondito, una discussione all’altezza della portata del lavoro. Invece tutto si risolse in un incontro di poche decine di minuti. Una superficialità che lasciò intuire subito quanto poco interesse ci fosse, in realtà, nell’affrontare davvero i problemi strutturali del nostro calcio. Quel piano, che avrebbe potuto rappresentare una rinascita, restò sostanzialmente chiuso in un cassetto.
La frustrazione di Baggio crebbe mese dopo mese. Nel gennaio 2013 decise di lasciare l’incarico, denunciando pubblicamente l’impossibilità totale di portare avanti il progetto e la sua marginalità in un sistema che sembrava più interessato a preservare equilibri interni che a guardare al futuro. Parole dure, ma sincere, che oggi risuonano ancora più attuali.
Oggi il calcio italiano vive forse la sua fase più delicata degli ultimi decenni. L’ipotesi concreta di mancare i Mondiali per la terza volta consecutiva è una ferita che rischia di segnare intere generazioni, e senza ombra di dubbio rappresenta la prova definitiva di un declino che non si può più ignorare. E allora, forse, è il momento di tornare a quel piano rimasto dimenticato, di recuperare l’idea di una riforma vera, profonda, ambiziosa. Perché se un uomo come Roberto Baggio aveva individuato un percorso possibile, ignorarlo ancora sarebbe un errore imperdonabile. Qualcuno in Federazione, prima o poi, dovrà trovare il coraggio di interrogarsi. E magari riconoscere che la soluzione, incredibilmente, era già stata scritta più di dieci anni fa.
