Roberto Baggio, tragedia infinita: mondo del calcio sotto choc - Glieroidelcalcio.com (screen Youtube)
Roberto Baggio, tragedia infinita: mondo del calcio sotto choc - Glieroidelcalcio.com (screen Youtube)
Il Mondo del calcio è rimasto senza parole per la tragedia che coinvolto anche Roberto Baggio, idolo indiscusso di un calcio che sapeva parlare anche di vita.
C’erano una volta le periferie silenziose del calcio italiano, dove i campi erano polverosi e i sogni brillavano più delle luci dello stadio. È lì che iniziò la favola di Roberto Baggio, un ragazzo veneto con un talento troppo grande per restare nascosto. Nato a Caldogno nel 1967, il “Divin Codino” si fece notare da giovanissimo per la grazia con cui accarezzava il pallone e per quell’umiltà disarmante che ne ha fatto un’icona del nostro calcio. La Fiorentina lo portò a Firenze ancora minorenne, convinta che quella promessa potesse diventare realtà. Ma i primi anni non furono semplici: infortuni, pressioni, lo spaesamento tipico di chi ha il mondo ai piedi e al tempo stesso una fragilità da gestire.
Fu in quel contesto che Celeste Pin, veterano della difesa viola, diventò molto più di un compagno di squadra. Era il 1985, e nella Fiorentina di Eriksson, Baggio si allenava con il gruppo ma spesso osservava più che giocare. Pin, difensore di razza, con oltre 250 presenze in maglia viola, fu uno di quei pochi che lo presero sotto la propria ala senza clamore, senza esibizionismi. Lo aiutò a comprendere le dinamiche dello spogliatoio, gli insegnò la durezza del mestiere e la sacralità del silenzio quando si indossa una maglia importante. Baggio ha più volte parlato con rispetto di Celeste, definendolo uno dei primi a credere in lui come uomo, prima ancora che come calciatore. Non era solo un compagno: era una guida. E, oggi, quella guida non c’è più.
A soli 64 anni, Celeste Pin è stato trovato morto nella sua abitazione di Careggi. Un gesto estremo, inatteso, che ha lasciato attonita la Firenze del calcio e non solo. Le autorità hanno confermato che si è trattato di suicidio. Nessun biglietto, nessuna spiegazione, solo un silenzio pesante, tragico, come quello che Pin conosceva bene nei tunnel degli stadi prima di una partita importante. Difensore nato a San Martino di Colle Umberto nel 1961, Pin ha legato gran parte della sua carriera alla Fiorentina, con cui ha giocato nove stagioni e una finale di Coppa Uefa nel 1990. Dopo il ritiro, ha continuato a vivere il calcio da dirigente e da voce tecnica nelle tv locali, senza mai allontanarsi davvero da quella maglia viola che considerava casa. Anche il club, attraverso una nota ufficiale, ha espresso il proprio dolore: “Celeste è rimasto sempre un tifoso della Fiorentina e non ha mai fatto mancare il proprio sostegno. Rimarrà per sempre nella storia gigliata”.

Gli amici, gli ex compagni, sono sgomenti. Giovanni Galli, commosso: “Nella nostra chat la domanda è solo una: perché? Era uno di famiglia, veniva spesso a cena da me”. Ciccio Graziani, durissimo con se stesso: “Sono arrabbiato, non doveva farmi questo. Ci eravamo sentiti a giugno, sembrava sereno. Se avesse avuto un problema, sarei corso da lui”. E poi il ricordo amaro di Alberto Di Chiara, che con lui aveva condiviso vacanze, risate e quella vita che oggi appare troppo leggera per trattenere certi pesi interiori. Celeste Pin lascia tre figli e un vuoto che va oltre il calcio. Lascia anche il ricordo di un maestro silenzioso, di un uomo che ha saputo essere colonna invisibile in una squadra piena di talenti. Un uomo che aveva capito Roberto Baggio, quando ancora il mondo non lo conosceva. E questo, forse, dice tutto.
