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La Penna degli Altri

2018: la Spoon river del calcio. Lealtà, orgoglio, poesia… le parole preziose lasciate dai calciatori scomparsi

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IL TIRRENO (Stefano Tamburini) – Certi calciatori non smettono mai di giocare e certi allenatori se chiudi gli occhi li vedi ancora in panchina. Le emozioni scavano uno spazio speciale nei ricordi e ogni volta che ci lascia uno di questi personaggi si riapre lo speciale album infinito delle figurine. Insomma, è come se questi uomini non morissero mai, anche se lo sappiamo bene che non ci sono più.

Nel 2018 ci hanno lasciato tanti calciatori e allenatori di epoche diverse: tutti insieme formano una speciale squadra che popola i nostri ricordi. Li abbiamo messi insieme con i numeri dall’1 all’11, con i ruoli di una volta e un ct in panchina. Una squadra che è una Spoon river fatta di insegnamenti, di messaggi lasciati e recuperati, messi insieme per dare un senso a questa ultima stagione terrena di uomini che hanno fatto grande il loro e il nostro pallone. Nelle frasi scelte c’è il senso di un calcio non sempre passato, c’è un insegnamento da non disperdere che non è solo un omaggio a chi ci ha regalato emozioni.

Rimettere insieme queste frasi è un modo per dare un ulteriore senso a comportamenti esemplari. Si parte dalla partita da 10 in pagella di un portiere (Felice Pulici) che vinse un derby da solo per dedicarlo al proprio mister che stava per morire, si va avanti con l’omaggio al giocatore che gli ha preso il posto (Mario Facco con Sergio Petrelli) e si prosegue con un allenatore come Gustavo Giagnoni che considera l’emozione più grande aver avuto l’onore di leggere i nomi del Grande Torino a Superga. C’è Gigi Radice che racconta il significato di uno scudetto granata, c’è il viola Giancarlo Galdiolo che consegna la fascia di capitano a un emergente Giancarlo Antognoni. E c’è Davide Astori, morto nel sonno prima di una partita, che ci fa capire la bellezza del gioco. C’è una bandiera (Cesarino Cervellati del Bologna) diventato poi dirigente che minaccia punizioni esemplari a un ragazzo che ha preso a calci un avversario, ricordandogli che «quello ha la tua stessa passione, i tuoi stessi sogni e se vuoi batterlo devi farlo lealmente, senza scorciatoie». C’è la sedia al cielo di Emiliano Mondonico contro i torti arbitrali, ci sono i toni scanzonati di Bruno Pace e le lacrime di Antonio Angelillo alle prese con un record di gol che tardava ad arrivare e che ha ricordato con orgoglio fino all’ultimo.

In questa Spoon river trovate tutto quello che serve: lealtà, orgoglio, poesia. Trovate il calcio, come dovrebbe essere. Quelli che ci hanno salutato nel 2018 ci lasciano una piccola eredità. Il modo migliore per onorarla è non dimenticare queste parole.

1 FELICE PULICI
PORTIERE
Prese 10 in pagella in un derby del novembre 1976 contro la Roma, vinto con un gol di Bruno Giordano e salvato con almeno cinque parate da antologia. Felice Pulici era il portiere della Lazio del primo scudetto. La sua lezione è: «Nulla è impossibile». Lo disse singhiozzando dedicando quel derby al suo allenatore Tommaso Maestrelli, che poi sarebbe morto quattro giorni dopo: «Questa vittoria è per lui. Se oggi ho parato l’impossibile è perché ho volato con le sue ali».

2 MARIO FACCO
TERZINO DESTRO
Era il terzino destro della Lazio dello scudetto 1973-74. Si fece male a inizio stagione e al suo posto giocò Sergio Petrelli. Quando era pronto per rientrare, il tecnico Maestrelli preferì non toccare niente. Facco giocò poco, distinguendosi per serietà e impegno in uno spogliatoio così diviso che per gli allenamenti ce n’erano due. Alla festa scudetto un giornalista gli chiese se Petrelli era stato decisivo; lui sorrise, chiamò il compagno e lo abbracciò davanti al microfono.

3 GUSTAVO GIAGNONI
TERZINO SINISTRO
Da calciatore ha conosciuto la gloria della promozione in Serie A con il Mantova. Da allenatore è partito da Mantova per poi passare, fra le altre, a Torino, Milan, Bologna, Cagliari. «Emotivamente mi ha colpito più di tutto essere chiamato a leggere i nomi del Grande Torino a Superga quando ero già andato via. Era un onore immenso pensare di leggere i nomi degli Invincibili davanti a tifosi e giovani giocatori. Non smetterò mai di ringraziare per questa opportunità».

4 LUIGI (GIGI) RADICE
MEDIANO DI SPINTA
Da calciatore segnò un solo gol. Era un difensore ogni tanto prestato alla mediana ma da allenatore fu tutt’altro: portò il calcio totale in Italia. È stato l’allenatore dell’altro Grande Torino, quello dello scudetto 1976. Ecco il ricordo della festa: «Correvamo tutti con il pugno chiuso. Avevamo vinto uno scudetto, e non solo. Dentro quel tricolore c’era molto, molto di più. Ho fatto tanto calcio, conosciuto uomini e discusso, qualche volta anche litigato. Ma sempre con entusiasmo».

5 GIANCARLO GALDIOLO
STOPPER
Si è arreso alla Sla, malattia degenerativa che nella sua Fiorentina ha colpito duramente. In campo non era solo lo stopper di viola (1970-1980), Samp e Bologna. I tifosi lo chiamavano “badile”, a sottolineare i suoi modi certo non troppo eleganti. Il capitano di quella Fiorentina era Claudio Merlo e quando fu venduto all’Inter (1976) la fascia sarebbe dovuta andare a Galdiolo. Lui la prese e la consegnò a un giovane Giancarlo Antognoni: «No, la deve portare lui. È il nostro giocatore più rappresentativo».

6 DAVIDE ASTORI
LIBERO
È andato a dormire la notte prima di una partita a Udine e non si è più svegliato. Davide Astori, difensore della Fiorentina ha unito il mondo del calcio. È sempre stato un faro per i compagni. Due frasi da ricordare su tutte. La prima, nel 2013 : «La mia favola è nata a Pontisola (Bergamo). Di quegli anni ricordo il tè del magazziniere: il più buono degli ultimi 20 anni». La seconda pochi mesi prima di morire: «Mi piace troppo giocare a calcio, mi godo più questo mestiere ora di quando avevo 18 anni».

7 CESARINO CERVELLATI
ALA TORNANTE
Era una bandiera del Bologna: 320 presenze e 88 gol, dal 1948 al 1962. Poi è diventato vice di Fulvio Bernardini nell’ultimo Bologna scudettato (1964). Dopo è stato anche dirigente, un faro per tanti giovani, come quando era in campo. Eraldo Pecci una volta dette un gran calcione a un avversario e a fine partita fu chiamato in ufficio da Cesarino: «Se lo fai di nuovo ti rimando a casa in treno. Quel ragazzo che hai scalciato ha la tua stessa passione, i tuoi stessi sogni e se vuoi batterlo devi farlo lealmente, senza scorciatoie».

8 RAY WILKINS
MEZZALA DESTRA
Era il numero 8 del Milan di Nils Liedholm, l’ultimo prima dell’era Berlusconi. Lo chiamavano “razor”, “rasoio”, per quei passaggi apri-difese. Appariva fortissimo, invece era fragile. Il problema (depressione e alcolismo) emerse quando era il vice di Vialli e di Ancelotti al Chelsea. Non ebbe paura a raccontare, ad aiutare altri ad uscirne, anche se a lui è stato fatale un infarto: «L’esonero dal Chelsea (2010) mi ha fatto sprofondare in un buco profondo, ma ora vado dalla psicoterapeuta e sto migliorando».

9 ANTONIO ANGELILLO
CENTRAVANTI
Grande argentino d’Italia con Inter, Roma e Milan. Fu la prima “vittima” di Herrera nella costruzione della Grande Inter che poi vinse tutto: mandato via nonostante il record dei gol, 33. «Bastava che toccassi palla ed era rete: 31 in 27 giornate. Poi la porta diventò stregata. Il record, 32 reti, era lì, ma per sei giornate non segnai. Con l’Alessandria, alla penultima, ebbi 5 palle-gol e non segnai: piansi a dirotto. Solo nell’ultima, con la Lazio, feci doppietta. Il record del secolo».

10 BRUNO PACE
MEZZALA SINISTRA
Sempre in prima linea. In campo (attaccante o centrocampista) e fuori, Bruno Pace era talentuoso e scanzonato. Il meglio lo ha dato al Bologna (1966-1972), da allenatore è stato l’artefice del Catanzaro settimo nel 1981-82. Era un poeta del calcio e non amava le regole rigide: ai tempi del Bologna il suo allenatore Oronzo Pugliese controllava casa per casa il rientro serale dei calciatori, usando l’auto di un barbiere. Quello di Pace: un biglietto per lo stadio e la spiata era assicurata.

11 EMILIANO MONDONICO
ALA SINISTRA
Attaccante della Cremonese e soprattutto del Torino di Cereser, Agroppi e Claudio Sala. E poi allenatore di tante squadre: su tutte Cremonese, Fiorentina, Atalanta e Torino, quando sfiorò il trionfo in Coppa Uefa nel 1992. Fu la finale della sedia alzata al cielo contro le ingiustizie arbitrali: «Quella sedia è il simbolo di chi tifa contro tutto e tutti. È il simbolo di chi non ci sta e reagisce con i mezzi che ha a disposizione. È un simbolo-Toro perché una sedia non è un fucile, è un’arma da osteria».

AZEGLIO VICINI
COMMISSARIO TECNICO
Calciatore di Lanerossi Vicenza, Sampdoria e Brescia, da allenatore Azeglio Vicini è stato praticamente sempre a Coverciano, prima come ct dell’Under 23 e dell’Under 21 e poi della Nazionale maggiore. Solo a fine carriera due brevi parentesi a Cesena e Udine. È stato il ct del sogno delle Notti magiche, di Italia ’90, finito ai rigori in semifinale. Era un costruttore di uomini, la sua fu la nazionale più bella. Del suo lavoro diceva: «Per costruire un gruppo compatto servono bravi giocatori e persone serie. Poi bisogna saperli condurre».

LE “RISERVE”
(E DUE GIORNALISTI)
Nel 2018 ci hanno lasciati anche altri giocatori che hanno fatto un pezzo di storia del nostro calcio. Su tutti Sauro Tomà (difensore), ultimo sopravvissuto del Grande Torino, poi i portieri Carlo Della Corna, Ezio Bardelli, Antonio Lonardi, Antonio Annibale, i difensori Enrico Spinosi, Luigi Ossola, Battista (Titta) Rota, Mario Trebbi e gli attaccanti Stefano Pellegrini, Lino Villa e Pier Luigi Galli. Sono scomparsi anche due grandi cantori di calcio come Luigi Necco e Giorgio Bubba, volti della popolare trasmissione Rai “90° minuto”.

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