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ESCLUSIVO – Intervista a Madeleine Boll: “La stagione più bella quella con la Gommagomma …”

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Madeleine Boll è unanimemente considerata la prima pioniera del calcio femminile svizzero

Infatti nel 1965, grazie ad un errore della federazione elvetica (credevano fosse un ragazzo), divenne la prima giocatrice ad essere ufficialmente tesserata in Svizzera. Sebbene due mesi dopo gli organi calcistici le ritirarono la licenza ritenendo che il calcio non fosse uno sport per donne, la sua fama ormai aveva valicato le Alpi. E così nel 1970 vestì la maglia della Gommagomma, con cui vinse subito lo scudetto, mentre la stagione successiva Valeria Rocchi la portò a Torino nella Real Juventus e con le bianconere, partecipanti al campionato FICF, conquistò nuovamente il tricolore. Quindi il passaggio alla Falchi Crescentinese, poi divenuta nel 1973 Falchi Astro, con due Coppe Italia messe in bacheca.

La centrocampista svizzera, soprannominata affettuosamente la “Montagna bionda”, rimase in Italia fino al termine della stagione 1974 (scudetto con la Falchi Astro) e poi scelse di tornare in Svizzera per giocare nel Sion, dove concluse la sua carriera vincendo due campionati e due coppe nazionali.

Riavvolgiamo il nastro della sua splendida storia e partiamo proprio dall’inizio. Appena dodicenne fece parlare di sé tutta la Svizzera per aver giocato in una squadra giovanile maschile.

“Proprio così. Avevo 12 anni ed un giorno il mio amico nonché compagno di scuola Gilbert mi confidò che sarebbe andato a giocare nel Sion. Tenga presente che all’epoca il Sion era il club più forte e tutti i bambini ambivano di poterci giocare. Perciò gli risposi: “Non è giusto che tu puoi giocare a calcio mentre io no”. Allora Gilbert chiese all’allenatore se potevo entrare in squadra anche io e l’indomani mi disse che ero stata accettata. E così ho iniziato a giocare nella formazione giovanile maschile del Sion. In quello stesso anno, ovvero il 1965, il Sion, per la prima volta nella sua storia, vinse la Coppa Svizzera e si qualificò per la Coppa delle Coppe. E dunque il 15 settembre mi trovai in campo nella sfida tra le giovanili andata in scena prima della partita tra i vallesani e i turchi del Galatasaray. Trattandosi del primo match ufficiale in ambito internazionale del Sion allo stadio erano presenti tantissimi giornalisti. E vedendomi giocare chiesero: “Come mai c’è una ragazzina in campo?” Ma i dirigenti risposero che avevo un regolare tesserino e che quindi potevo scendere in campo. Di questa vicenda se ne parlò non solo in tutta la Svizzera ma anche in Svezia, Francia, Italia, Inghilterra, Congo, Venezuela ecc.”

Quando approda nel Belpaese?

“La notizia che avevo giocato in una squadra maschile era giunta anche nel vostro paese e qualche anno dopo, nel 1969, ricevemmo una telefonata da un avvocato ticinese che ci spiegava di essere stato incaricato da una formazione di calcio femminile per sapere se ero disponibile a venire a giocare in Italia. La squadra in questione era la Gommagomma della Sig.ra Rocchi.

Ma avevo sedici anni, dovevo ancora completare gli studi scolastici e chiaramente ero troppo piccola per trasferirmi da sola, perciò i miei genitori non erano tanto convinti di lasciarmi partire. La situazione si risolse positivamente quando i dirigenti dissero che sarei potuta restare in Svizzera e che avrei dovuto raggiungere la squadra solo per giocare le partite. Così nel 1970 disputai il mio primo campionato italiano. Durante la settimana mi allenavo con gli amici del mio paese, che giocavano nella 3a liga, e la domenica mattina raggiungevo col treno Milano, disputavo l’incontro ed in serata rientravo a casa. Invece quando avevamo trasferte molto distanti, come quelle di Cagliari, Roma o Napoli, raggiungevo le mie compagne il venerdì o il sabato e rientravo in Svizzera il lunedì. E così è stato per tutti i cinque anni in cui ho giocato in Italia. Devo dire che sono stata fortunata ad avere avuto dei dirigenti comprensivi perché mi hanno dato questa opportunità.”

In quegli anni in Svizzera si disputava un campionato nazionale di calcio femminile?

“Tra il 1968 e il 1969 abbiamo costituito una squadra a Sion e poi c’era un’altra squadra a Zurigo. Il numero di club crebbe e così il 24 aprile del 1970 venne istituito il primo campionato nazionale con ben diciotto squadre. Diversamente dall’Italia non si disputava nell’anno solare ma da settembre a giugno. Questo passaggio lo ricordo bene perché mio padre Jean faceva parte dell’Associazione che si occupava del calcio femminile in Svizzera.”

Che ricordi ha della Sig.ra Valeria Rocchi?

“La Sig.ra Rocchi per me era la madre del calcio femminile italiano. Ho un buon ricordo, sono stata con lei due anni, ed era una personalità importante in quell’ambiente. Le racconto un aneddoto: mia madre aveva sentito che a Milano le donne giocavano a calcio perché aveva letto un articolo che parlava proprio sulla Sig.ra Rocchi. Quindi, in realtà, il suo nome ci era già noto prima ancora che ci telefonassero per invitarmi a giocare nella Gommagomma.”

Ci furono altre calciatrici svizzere che vennero a giocare in Italia?

“La Sig.ra Rocchi mi chiese se conoscevo altre brave giocatrici ed io le presentai una ragazza più grande di me che era nel Sion ma non superò il provino e non venne prese. Successivamente ho invitato Cathy Moser, un attaccante molto forte, che invece venne subito inserita. Durante il periodo in cui sono stata in Italia io e Cathy abbiamo giocato sempre nella stessa squadra ad eccezione di una sola stagione. Siamo rimaste buone amiche ed ancora oggi ci incontriamo, soprattutto in occasione delle partite della nazionale.”

Che tipo di giocatrice era? Quale ruolo ricopriva?

“Giocavo a centrocampo nel ruolo di regista ma spesso venivo arretrata a libero per sfruttare la mia statura. Inoltre avevo un tiro molto forte e preciso e grazie a queste mie caratteristiche ho fatto tanti gol su calcio di punizione o tirando da fuori area. Nel 1974 sono stata anche vice capocannoniera, peccato che quell’anno il Messina poi si ritirò perché contro di loro forse avrei potuto realizzare le reti necessarie per diventare la migliore marcatrice. Non facevo un allenamento specifico ma al termine di ogni sessione rimanevo 10-15 minuti per esercitarmi a tirare in porta. L’unico gol di testa l’ho segnato in occasione di Italia- Resto d’Europa (18 luglio 1974 ndr). Ricordo che Elena Schiavo mi disse: “No Madeleine non posso crederci! Quando giochiamo insieme non segni mai di testa ed invece lo hai fatto contro di noi!”.

 La sua più bella stagione disputata in Italia?

“Sicuramente è stata quella con la Gommagomma. Si trattava del mio primo anno in Italia. È vero che con i miei genitori andavamo ogni anno nella zona tra Rimini, Cervia e Milano Marittima ma col calcio ho avuto la possibilità di conoscere il vostro paese. Io venivo da un piccolo paese e per me è stata una esperienza bellissima poter viaggiare in aereo e poter vedere Roma, Napoli, Torino, Piacenza, Bologna ecc. E poi eravamo una bella squadra, giocavamo bene e vincemmo meritatamente lo scudetto.”                                                                  

Quali erano le giocatrici più forti di cui si ricorda ancora oggi?

“Mi vengono in mente Luciana Meles, Liliana Mammina, Betty Vignotto, Elena Schiavo, Sue Lopes, Cathy Moser. E poi ricordo Patrizia Rocchi, la figlia di Valeria, che nei primi anni era anche l’icona del calcio femminile. Ma probabilmente me ne sono dimenticate tante altre.

 Nel 1970 partecipò al Trofeo “Martini & Rossi”, che si disputò proprio in Italia. La vostra squadra era una selezione del Cantone Vallese oppure una vera e propria nazionale svizzera?

“Quella era a tutti gli effetti la nazionale svizzera. È vero che l’allenatore e sette giocatrici su quindici erano del Sion ma c’erano anche ragazze di Zurigo, Neuchâtel e Berna. Insomma non era come il caso della Francia, che in realtà veniva rappresentata dalla squadra del Reims. Nel 1970 disputammo anche un’altra partita (Svizzera- Austria a Schaffhausen ndr) ma come primo incontro ufficiale della nostra nazionale venne riconosciuto quello giocatosi il 7 maggio 1972 contro la Francia, terminato per 2-2.”

La mattina del giorno in cui avreste affrontato l’Italia andò in spiaggia e si mise a palleggiare in bikini con Elena Schiavo. Era stato tutto organizzato oppure vi incontraste per caso?

“Non ricordo bene questi dettagli, tra l’altro all’epoca ero da poco in Italia e non parlavo neppure bene la vostra lingua. Ho visto gli articoli con le foto che ci fecero ma non so dire se era stata una cosa organizzata per la stampa. Mi hanno detto, vai spiaggia che c’è la Schiavo. Per me lei era un monumento. Personalmente non la conoscevo bene ma sapevo che era molto famosa, forte e che aveva un bel temperamento al contrario di me che ero molto pacata.”

E poi la sera ci fu il match contro le Azzurre…

“Mi ricordo della partita di Salerno contro l’Italia come se si fosse giocata ieri. Per noi della Svizzera si trattava della prima partita che disputavamo. Venimmo molto penalizzate dall’arbitraggio. Ci venne fischiato un fuorigioco inesistente mentre all’Italia venne convalidato il gol vittoria quando invece Cathy Moser aveva respinto la palla sulla linea. Durante l’intervallo volevamo sostituire delle giocatrici e non ce lo permisero. Abbiamo perso per 2-1 e siamo ritornate a casa molto deluse perché avevamo subito tanti torti. Ricordo che l’unica cosa che importava agli organizzatori era che l’Italia arrivasse in finale. Al nostro rientro mio padre, che come ho già detto all’epoca faceva parte dell’Associazione che si occupava del calcio femminile svizzero, scrisse anche una lettera di protesta alla UEFA. L’anno seguente venimmo invitate per andare in Messico (dove si svolse la seconda edizione del Trofeo “Martini & Rossi” ndr) ma ci rifiutammo perché ritenevamo che la competizione fosse poco seria. Poi venni a sapere che in Messico l’Italia in semifinale affrontò le padrone di casa e fu sfavorita dall’arbitraggio.

Ecco, quello che subì l’Italia noi l’avevamo subito l’edizione precedente proprio contro di loro.”     

Le venne mai proposto di giocare per la Nazionale italiana?

“Si, all’inizio mi hanno chiesto di giocare per la nazionale italiana ma io ho rifiutato perché volevo giocare con la Svizzera.”

Come mai decise di lasciare l’Italia per giocare in Svizzera?

È vero che vivevo in Svizzera ma tutte le domeniche dovevo venire in Italia e alla fine stava diventando difficile riuscire a gestire questa situazione. Ad esempio quando si è sposato mio fratello, per fortuna a Locarno, il sabato sono rientrata dal matrimonio a mezzanotte e l’indomani sono partita la mattina presto perché dovevamo giocare a Padova. Alla fine era diventato pesante stare fuori ogni domenica. Così al termine della stagione 1974 sono tornata a Sion e sono rimasta a giocare lì per circa 3 anni. Abbiamo vinto sia il campionato che la coppa nazionale e ho smesso definitivamente molto presto, a 25 anni. Ed è bello che adesso, dopo tanti anni, si parli ancora degli anni in cui ho giocato!”

 Perché decise di appendere le scarpe al chiodo?

“Avevo molti amici ed amiche fuori dall’ambiente del calcio e ogni domenica dovevo rinunciare a vedermi con loro perché ero impegnata con le partite. E poi ormai avevo meno stimoli perché spesso mi trovavo a giocare con ragazzine di dodici anni ed il campionato non era a livello di quello italiano. E così ho deciso di smettere di giocare e per diversi anni ho seguito da lontano il calcio femminile. Successivamente ho intrapreso due corsi di formazione per aiutare le persone in difficoltà: il primo, nel 1982, come sostegno alle famiglie mentre cinque anni dopo quello per assistente sociale (1987). Ho fatto questo lavoro per vent’anni e dal 2015 sono in pensione.”

È rimasta in contatto con qualcuna delle sue ex compagne di squadra di quando giocava in Italia?

“In realtà no. Dopo aver smesso col calcio sono entrata nel Comitato del Cantone Vallese per lo sviluppo del calcio femminile, poi sono venuta in contatto con la Federazione svizzera e sono diventata capodelegazione della nazionale. E grazie a questo ruolo diversi anni fa ho incontrato Betty Vignotto, in occasione di una partita tra Svizzera e Italia, e ho avuto la possibilità di chiacchierare con lei. Ma qualche mese fa ho ricevuto un messaggio telefonico da Mirella Pessina, che era portiere della Gommagomma. Era la prima volta dopo cinquant’anni che venivo contattata dall’Italia e questo mi ha fatto tanto piacere.”

Quale è la situazione attuale del calcio femminile svizzero?

“A differenza dell’Italia non abbiamo ancora il professionismo e tutte le calciatrici della nostra nazionale giocano fuori dalla Svizzera. Ci siamo appena qualificati ai Mondiali battendo ai play off il Galles e questo è stato un risultato importantissimo. Inoltre siamo candidati per ospitare la prossima fase finale degli Europei. E Sion, dove ho mosso i primi passi nel calcio, è tra le città scelte per ospitare le partite. Speriamo di spuntarla su Francia, Polonia e la candidatura congiunta dei paesi del Nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia ndr) perché una grande manifestazione darebbe una bella spinta per lo sviluppo e la crescita del movimento nel mio paese. Abbiamo bisogno di questi eventi per aiutare il calcio femminile e l’assegnazione della fase finale degli Europei del 2025 sarebbe un bel regalo.”

Si ringrazia Madeleine Boll per la documentazione fotografica messa a disposizione e la giornalista Agata Galfetti per il supporto fornito.

Per GLIEROIDELCALCIO.COM Giovanni Di Salvo

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Per chi volesse approfondire l’argomento:

Giovanni Di Salvo “Azzurre. Storia della Nazionale di calcio femminile” della Bradipolibri

Giovanni Di Salvo “Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista” della Bradipolibri

Giovanni Di Salvo “Quando le ballerine danzavano col pallone. La storia del calcio femminile con particolare riferimento a quello siciliano” della GEO Edizioni.

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Ingegnere palermitano con la passione per il giornalismo e il calcio femminile. Autore di due libri: "Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista" e "Quando le ballerine danzavano col pallone. La storia del calcio femminile".

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