Inghilterra-Italia, l'unione fa la coppa
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Inghilterra-Italia, l’unione fa la coppa: la sfortunata epopea del torneo anglo-italiano inventato da Luigi Peronace nel 1969

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 Inghilterra-Italia, l’unione fa la coppa

I venerati maestri contro i volenterosi allievi: la rivalità tra Inghilterra e Italia ha radici robuste e profonde. Un rito laico che si rinnova dal 13 maggio 1933, quando  le due Nazionali maggiori si sfidarono in amichevole allo stadio “Nazionale”: finì in parità (1-1) con le reti di Giovanni Ferrari – uno dei pretoriani di Vittorio Pozzo, con cui condivise il doppio trionfo mondiale del 1934 e del 1938 – e della mezzala dell’Arsenal Cliff Bastin. 

Di lì in avanti, inglesi e italiani si sfidarono altre 31 volte, molte di queste passate alla storia: se la «battaglia di Highbury» (14 novembre 1934) si trasformò in un vessillo per il regime fascista nonostante il 3-2 incassato dagli azzurri, le due vittorie in cinque mesi della Nazionale allenata da Ferruccio Valcareggi – che si tolse anche la soddisfazione di vincere a Wembley il 14 novembre 1973 con un gol di Fabio Capello – cancellarono di colpo quarant’anni di sconfitte e delusioni. Lo stadio londinese sarà per altre due volte il teatro dei sogni azzurri:  l’estro di Gianfranco Zola e le parate di Gianluigi Donnarumma hanno lasciato gli inglesi a bocca asciutta. 

Dalle Nazionali ai club, Inghilterra-Italia non ha mai smesso di emozionare: a volte fu vera gloria (il Genoa di Osvaldo Bagnoli in trionfo ad Anfield Road nei quarti di finale della Coppa UEFA 1991/92, il Milan per l’ultima volta campione d’Europa ad Atene con il Liverpool nel 2007), altre un pozzo senza fondo di rimpianti (i maledetti rigori che condannarono la Roma alla sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni 1983/84 con i Reds che, a distanza di 21 anni, beffarono anche il Milan dagli 11 metri nella folle notte di Istanbul). 

Una rivalità che ha anche delle pagine nere…

Altre ancora, invece, significa rievocare le pagine più nere della storia del calcio: Juventus-Liverpool, 29 maggio 1985, 39 morti e una partita dell’assurdo che non si doveva giocare. C’è anche un terzo capitolo di questo magnifico romanzo di sport e passione, fortemente voluto da un agente di origini calabresi con il fiuto per gli affari. Alcuni nomi? Il gigante John Charles, sbarcato a Torino (sponda bianconera) nel 1957; i viveur Joe Baker e Denis Law, protagonisti dentro e fuori dal campo nella loro unica stagione al Torino; il fuoriclasse Jimmy Greaves, scaricato troppo presto dal Milan nell’autunno del 1961. Eppure, Luigi Peronace da Soverato non fu soltanto un abile procuratore che, negli ultimi anni della sua vita, divenne uno dei più stretti collaboratori di Enzo Bearzot: a lui si deve l’invenzione di una singolare competizione per club italiani e inglesi. 

E così, nella primavera del 1970, Peronace allestì la prima edizione del Torneo Anglo-italiano: 12 squadre divise in tre gironi da 4, con partite di andata (in Inghilterra) e ritorno (in Italia), una gara secca per assegnare il titolo tra le due formazioni che avessero ottenuto più punti. Anche i gol segnati facevano la differenza: il regolamento prevedeva infatti l’assegnazione di un punteggio extra per ogni marcatura. Benché collocata a ridosso dei Mondiali messicani, l’edizione inaugurale della Coppa Anglo-italiana vide in prima fila i nostri club, che puntavano in questo modo a riscattare le delusioni del campionato: al via si presentarono la Juventus, la Roma, la Lazio, il Vicenza, la Fiorentina e il Napoli. 

Inghilterra-Italia: una rivalità ricca di rivincite

Meno quotata – almeno sulla carta – la pattuglia inglese: quattro squadre di retroguardia della First Division (Sheffield Wednesday, Sunderland, West Bromwich Albion e Wolverhampton), una di seconda serie, il Middlesbrough, e lo Swindon Town che, partito dalla periferia del calcio inglese (la Third Division), si era tolto la soddisfazione di battere l’Arsenal nella finale della Coppa di Lega 1969. Il lasciapassare per l’Europa che conta, giusto? Niente affatto: la Football Association negò allo Swindon Town l’opportunità di giocare la Coppa delle Fiere, riservata soltanto alle squadre della massima divisione. 

Un’ingiustizia alla quale il club inglese rimediò con gli interessi: prima la lezione di calcio impartita alla Roma del “Mago” Herrera nel doppio confronto che metteva in palio la Coppa di Lega italo-inglese del 1969, poi il sonoro 0-3 inflitto al Napoli nella finale dell’Anglo-italiano, peraltro sospesa a 11′ dalla fine per le intemperanze di centinaia di tifosi inferociti con Juliano e compagni. Ancorché etichettata come un mero torneo di consolazione, la creatura di Peronace si confermò su buoni livelli anche l’anno seguente, con la presenza dell’Inter campione d’Italia. Tuttavia, i nerazzurri furono semplici comparse del torneo, che si concluse con la sfida tra il Bologna di “Mondino” Fabbri e il Blackpool, una delle due rappresentanti della Second Division. Epilogo ai supplementari dopo il pari (1-1) al 90′: rossoblu castigati da una rete di Burns. 

Il calcio italiano si prese la rivincita nel 1972: la Roma negò il bis proprio al Blackpool, imponendosi davanti ai 40mila dello stadio “Olimpico” per 3-1 (a segno Cappellini, Scaratti e Zigoni nella ripresa). La riforma del torneo – con l’allargamento a 16 squadre e l’introduzione delle semifinali – non salvò l’Anglo-italiano da un rapido e vistoso declino. 

Le vittorie di Modena e Sutton United

Calato il sipario sull’edizione 1973, vinta dal Newcastle in casa della Fiorentina (1-2), la manifestazione finì nell’oblio per un paio di stagioni. Peronace la ripropose nel 1976 con una formula davvero particolare: via le squadre di vertice in favore dei club semiprofessionistici e dilettantistici. 

Il netto divario tra i club italiani di Serie C e le modeste formazioni inglesi (quasi tutte iscritte alle serie regionali) impoverì ulteriormente i contenuti tecnici del torneo, chiaramente dominato dalle nostre squadre – a cominciare dal Modena, che centrò la doppietta nel 1981 e nel 1982 – con la sola eccezione del Sutton United, vittorioso in casa del Chieti nel 1979. La parabola della Coppa anglo-italiana – dedicata per alcuni anni alla memoria del suo fondatore, stroncato da un infarto il 29 dicembre 1980 – sembrava ormai esaurita dopo il successo del Piacenza nel 1986. E invece, la manifestazione riprese inaspettatamente il suo corso dopo 6 anni di oblio, puntando sul confronto diretto tra le società della nostra Serie B e le squadre di First Division. Per l’ultimo atto dell’Anglo-italiano, poi, la scelta cadde sul palcoscenico più famoso del football mondiale: il vecchio e caro Wembley Stadium. 

La finale tra Cremonese e Derby County – giocata il 27 marzo 1993 – è ancora oggi un tuffo al cuore per i tifosi grigiorossi: il 3-1 ai Rams porta in calce le firme di Verdelli, Maspero e Tentoni. L’anno seguente, lo stadio londinese si inchinò al Brescia di Mircea Lucescu, che piegò il Notts County con un gol di Ambrosetti. La squadra di Nottingham si riprese tuttavia il maltolto nel 1995, superando l’Ascoli per 2-1. 

Maestri ed allievi che non smettono di duellare

Dopo tante squadre di provincia, ecco una nobile decaduta al centro della scena: il Genoa, sorprendentemente retrocesso in B nel 1995, sbaragliò il Port Vale per 5-2 grazie a una tripletta di Ruotolo, cui si accodarono Montella e Galante. Come il Grifone nessun altro mai: la Coppa Anglo-italiana chiuse per sempre i battenti il 17 marzo 1996. I maestri e gli allievi del pallone, però, non hanno mai smesso di duellare. 

GLIEROIDELCALCIO.COM (Carmine Marino)

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Nato in provincia di Salerno nel 1986, l'anno della «Mano de Dios». Insegnante di scuola superiore con una passione (a volte corrisposta, a volte meno) per il giornalismo, si riconcilia con il pallone quando ripensa alla liturgia radiofonica di «Tutto il calcio» e al teatrino di «90° minuto». A tempo perso, si occupa del rapporto tra calcio, media e storytelling. Matera e il rock gli fanno battere il cuore.

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