Juan Alberto Barbas ... "Lecce nel Cuore" - Gli Eroi del Calcio
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Juan Alberto Barbas … “Lecce nel Cuore”

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SuperNews ha intervistato Juan Alberto Barbas, l’argentino, soprannominato “Beto”, acquistato dal Lecce nel 1985, dando vita ad un amore che ancora dura … nel 1988/1989 Barbas é stato uno dei protagonisti del miglior posizionamento della storia del Lecce: il nono posto nella classifica di Serie A. In questa intervista ha ripercorso il suo periodo nella società salentina.

Juan, ancora oggi sei ricordato con immensa stima e affetto dalla tifoseria giallorossa. Come sei approdato a Lecce?
Mi fa tanto piacere che dopo tanti anni la gente di Lecce si ricordi di me, per quello che ho fatto calcisticamente. Oggi, ragazzini che generazionalmente non hanno potuto vedermi giocare mi scrivono dicendomi di conoscermi grazie ai racconti dei propri parenti. Prima di approdare a Lecce, ho giocato nel Real Saragozza dal 1982 al 1985. (…) Successe che la società del Lecce venne a vedermi a Saragozza, e così, da un giorno all’altro, diventai un giocatore giallorosso. Il primo giorno che sono arrivato a Lecce mi sono innamorato del posto e delle persone che ci abitano. Specularmente, i leccesi si sono molto affezionati a me, mi hanno apprezzato come uomo e come calciatore.

Per ben 5 stagioni hai indossato la maglia del Lecce, collezionando 149 presenze e realizzando 27 gol. Sotto la guida di Carlo Mazzone, nella stagione 1988/89 il Lecce consegue il miglior piazzamento di sempre con il 9° posto nella classifica di Serie A.  Cosa ha permesso a quella squadra di scalare la classifica e occupare quel posto? E che ricordo hai del tuo Lecce, della città e dei tifosi?
Sono arrivato a Lecce con poca conoscenza del calcio italiano. Quando una squadra sale in Serie A, non è facile restare nella parte alta della classifica. Abbiamo fatto grandi prestazioni. Siamo riusciti a mantenere quella posizione in campionato grazie all’esperienza di tanti compagni che avevano già giocato nella massima serie e grazie a mister Mazzone, che conosceva la categoria. Mi ricordo tutto di quegli anni: eravamo una squadra forte, di ragazzi che avevano fame e che volevano far bene per la società e per i tifosi. La città, poi, è meravigliosa. Io spero davvero un giorno di poterci tornare, perché Lecce con me si è sempre comportata benissimo.

Sei stato compagno dell’immenso Maradona nelle giovanili della Nazionale Argentina e nel Lecce di Pedro Pasculli, altro mitico acquisto di quegli anni della società salentina. Qual è il tuo personale ricordo de “El Pibe De Oro”? E che rapporto avevi invece con Pasculli?
Con Diego avevo un grande rapporto di amicizia, direi fraterno. Abbiamo iniziato a giocare insieme nel settore giovanile dell’Argentina. Poi, lui ha debuttato nella Nazionale Maggiore prima di me. (…) Per quanto riguarda Pedro, anche lui è un mio grande amico ed ex compagno di Nazionale. In quegli anni, il Lecce voleva inserire in rosa un altro argentino, e io ho fatto subito il suo nome alla società: Pasculli era centravanti della Nazionale e capocannoniere del campionato argentino.

Se dovessi scegliere un solo ricordo della tua esperienza con la maglia del Lecce, quale sceglieresti?
Ce ne sono due. Il primo é il gol che ho realizzato contro il Genoa, quella famosa traversa che alla fine si é infilata in porta, in quel Lecce-Genoa 2 a 1 della stagione 1989/1990. Il secondo, invece, riguarda la salvezza conquistata una partita prima della fine del campionato grazie al 3 a 1 inflitto al Torino nel 1988/1989. Ricordo la felicità di Mazzone al termine di quella partita, che dovevano vincere necessariamente: il mister ballava per la grande gioia, e nessuno poteva fermarlo.

Nel 1985/1986 il Lecce, ormai destinato alla Serie B, vince per 3 a 2 un’incredibile partita contro la Roma, che vede sfumare davanti ai suoi occhi la possibilità dello scudetto. Due delle tre reti giallorosse le segnasti tu. Che ricordi hai di quella gara?
Noi giallorossi arrivavamo al match contro i capitolini con solo 12 punti in classifica, eravamo praticamente già retrocessi. Siamo andati a Roma senza niente da perdere: in caso di vittoria avremmo tolto lo scudetto ai nostri avversari, mentre in caso di sconfitta sarebbe successo quello che già sapevamo, ovvero la retrocessione in B. Dopo quell’incredibile vittoria ricordo che era impossibile poter uscire dallo stadio. (…) La prestazione contro la Roma é stata forse la più bella di quel campionato: abbiamo giocato rilassati, perché noi non dovevamo vincere a tutti i costi. I capitolini passarono in vantaggio dopo 7 minuti grazie al gol di Graziani. Il nostro Di Chiara innescò la rimonta con un gol al 34esimo, dopodiché arrivò la mia rete su rigore al 53esimo e anche il terzo gol, che segnai dribblando il portiere avversario Tancredi. A pochi minuti dalla fine la Roma segnò il secondo gol, ma ormai era troppo tardi. Immagina la nostra gioia al fischio finale…

Nel 1990 abbandoni Lecce in quanto non rientri più nei piani del nuovo allenatore Zbigniew Boniek. Come hai vissuto quel momento della tua carriera? Fosse dipeso da te, saresti rimasto con i salentini?
Sarei rimasto, ovviamente, ma sono successe alcune cose. In quegli anni il mio procuratore, Antonio Caliendo, mi disse che il Monaco era intenzionato a prendermi. L’allora tecnico del Lecce, Boniek, mi chiese quali fossero le mie intenzioni, e io gli risposi che volevo restare a Lecce, ma in un Lecce competitivo, che non giocasse con il solo obiettivo della salvezza. Parlai con il ds Cataldo, il quale mi assicurò che sarei rimasto un giocatore del Lecce. Il giorno dopo, leggendo il giornale, scopro che Boniek aveva preferito Aleinikov, e che mi lasciava, così, senza squadra. Ci sono rimasto malissimo, soprattutto per quello che avevo fatto per l’ambiente giallorosso e per l’affetto che la gente nutriva nei miei confronti. Io sarei rimasto volentieri. Dopo tanti anni ho ancora il desiderio di ritornare a Lecce, immagina quanto volessi rimanere da giovane…

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