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Luciano Moggi: “Quando spegni i sogni di qualcuno, devi sempre essere crudo”

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Luciano Moggi si racconta, e lo fa a One More Time, una serie podcast che parla di rinascita attraverso viaggi nella vita di personaggi noti a cura di Luca Casadei. 

Il titolo del Podcast è Luciano Moggi, un protagonista del calcio

Di seguito un breve stralcio..

Sono un tipo espansivo: se non conosco chi mi ha chiamato, devo andare io a presentarmi. Così feci da ragazzino alla Juventus, così ho conosciuto i dirigenti della prima squadra. E ho portato avanti una relazione importante con l’allora direttore generale.

Quando fai l’osservatore, non vai a reclutare. Vai a girare. E ci vuole fortuna a trovare degli elementi. L’appellativo di “scopritore di talenti” non è vero: i talenti si scoprono da soli. Si tratta solo di girare, di andarli a vedere e di capire come inserirli nella tua squadra. Per vent’anni mi sono portato avanti con un criterio che è stato importante: ho portato Scirea, Causio, Gentile. Ce ne sono tanti.

L’osservatore attento deve parlare con il ragazzo per capirne l’intelligenza: la testa comanda anche i piedi. Dopodiché devi vedere il campo quello che ti dice: dalle movenze, dalla testa alta. La sicurezza nei piedi è data dalla sicurezza nella testa.

Vado a Torino e, prima di iniziare questa attività, ho voluto vedere cosa c’era di buono nelle giovanili della Juventus. Avevamo il fratello di Paolo Rossi, Rossano, che però non mi entusiasmava. Andai a vedere Paolo: lo portammo a fare un provino con ragazzi di tre anni più grandi, mise a sedere tutti.

Quando spegni i sogni di qualcuno, devi sempre essere crudo. È un discorso che ho fatto a tanti. Il calcio è anche una fabbrica di sbandati: ci sono persone che frequentano questo mondo in categorie inferiori anche a 28, 29, 30 anni. E quando poi smettono, si ritrovano senza lavoro.

Ho iniziato a lavorare alla Roma di Anzalone, che era una società povera: dovevo comprare giocatori a poco e venderli a parecchio. È lì, tra mille difficoltà, che ho imparato a fare questo mestiere.

Bruno Conti, che alla fine è stato campione del mondo, ai tempi era un piccoletto che sgusciava da tutte le parti. Il Genoa lo voleva terribilmente, così io in cambio del prestito ho chiesto un’opzione per portare Pruzzo a Roma. Alla fine di quel campionato Pruzzo era uomo mercato: lo davano per fatto al Milan, invece lo avevo già preso io. Questa operazione mi ha dato una spinta, mi ha insegnato come portare avanti il mestiere. Ho capito che dovevo mettere in campo la fantasia.

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