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Luigi Martini: “Giorgio Chinaglia era il tifoso che scendeva in campo”

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Luigi Martini, ex terzino sinistro della Lazio scudettata del 1974, intervistato da Il Foglio ha ricordato quel periodo e il particolare rapporto con Maestrelli

Di seguito un estratto:

«Mi sono chiesto tante volte perché quel tricolore sia rimasto nell’anima anche di chi non c’era. La spiegazione di questo unicum sta nell’unicità del nostro condottiero e nelle sue intemperanze. Giorgio Chinaglia era il tifoso che scendeva in campo. Se qualcuno esitava, lui lo spingeva, anche platealmente. Se qualcuno sbagliava, lui si arrabbiava. Come quelli che la partita la guardavano dalle tribune. Era l’eroe di un’immedesimazione, che non ha uguali in tutta la storia del calcioSi era innescato un meccanismo di rivalità, che si propagava dalle partitelle quotidiane a fuori dal campo. Eravamo sempre gli uni contro gli altri. Senza esclusione di colpi. Come ti giravi, eran botte.

I ritiri li facevamo in un albergo sull’Aurelia molto decentrato. Era un motel in primo luogo deputato a ospitare coppiette clandestine e anche qualche prostituta di professione. Tutto intorno, c’erano prati e spazi aperti. Qualcuno di noi portò una pistola e cominciò il tiro a segno. Noi volevamo dimostrare che eravamo più bravi di Giorgio Chinaglia. Lui era il clan e il capoclan. Era Chinaglia. Luciano e io non eravamo sulla sua stessa lunghezza d’onda. Gli eccessi ci sono stati, ma quelle rivalità senza limite hanno sviluppato in tutti noi una forza interiore, che ha consentito a ciascuno di dare più di quello che aveva. Senza quelle rivalità, sparate all’eccesso, sarebbe stato impossibile strappare lo scudetto a corazzate concepite per vincere, come la Juventus, l’Inter e il Milan. Dove tutti i componenti della rosa erano inquadrati e sorvegliati a vistaMaestrelli e Re Cecconi? Quelle due morti ravvicinate mi fiaccarono l’anima e il corpo irrimediabilmente. Sentii spegnersi la fiamma che era dentro di me. Il calciatore, che ero stato, non c’era più. Ho provato a continuare, ma era sparito tutto quello che mi teneva in gioco. Imparai che la vita ti può togliere tutto in un attimo e, in una notte di malinconia, ho deciso di cambiar lavoro.

Laziale, però, lo sono ancora e lo sarò per sempre.

Ho sempre presente nel cuore il mio incontro con Maestrelli il giorno prima della sua morte. Era cosciente che la sua vita stava per finire. ma con lo sguardo mi rassicurava. Mi diceva: tranquillo è tutto a posto. Come quando giocavamo».

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