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La Coppa del Mondo: ingegno italiano

Già una volta abbiamo celebrato gli oggetti che riempiono i sogni degli sportivi, nella fattispecie le coppe, simbolo della vittoria.

In particolare, abbiamo raccontato la vita avventurosa della Coppa Rimet, il primo simbolo della vittoria di un mondiale di calcio, dalla sua nascita, opera di un orafo francese, Abel Lafleur, nel 1930, alla definitiva assegnazione al Brasile nel 1970, laureatosi in Messico per la terza volta iridato, e perciò definitivo proprietario di quel trofeo, come prevedeva il regolamento.

Morto un re, occorreva farne un altro, quindi necessitava un nuovo trofeo, una nuova coppa da assegnare al vincitore, per perpetuare il sogno sotto un’altra forma.

È nel 1971 che viene istituita dalla Fifa una commissione che deve decidere quale progetto scegliere tra i tanti inviati da artisti di venticinque nazioni partecipanti al concorso.

Tra questi anche quello dell’italiano Silvio Gazzaniga, che viene scelto.

Chi era Silvio Gazzaniga, come nasce la sua arte, cosa ispirò il motivo per la creazione di quella che sarebbe diventata la Coppa Fifa?

È sempre un processo lungo e complesso entrare nella genialità di un artista, soprattutto di uno che, nato a Milano nel 1921 e scomparso nel 2016, ha attraversato quasi per intero quello che Eric Hobsbawm ha definito “il secolo breve”, e che è stato talmente ricco di eventi, scoperte, personaggi, da costituire una continua e quasi inesauribile fonte d’ispirazione per chi ha saputo leggere tra le righe della Storia, traendone spunto per la propria arte.

Nel caso dell’artista milanese “in lui troviamo tracce del Novecento, dall’idea Bauhaus dell’arte che diventava “applicata”, anzi incorporata nelle cose di ogni giorno, al Futurismo, per il senso del movimento e della forma”, parole del dott. Tomaso Bonazzi, nipote del Maestro, che ci guiderà in questo viaggio alla genesi del trofeo.

“Silvio doveva creare una nuova icona mondiale che veniva dopo una coppa – la Rimet – che era rigida, squadrata e quasi impettita, derivante dal rigoroso stile Art Déco francese del 1926. Per contrasto decise di rappresentare il ruvido dove era il liscio, il movimento all’Oro caldo, dove era la glaciale, statuaria, immota bellezza dell’opera precedente di Abel Lafleur. Voleva dare la “presa”, la conquista del Mondo del calcio, tra le mani di due atleti che diventavano in quello stesso momento e in quella coppa, degli “Dei” dello sport e della fatica, invece che, come era stato sino ad allora, dare una Dea in mano a degli atleti.”

Trasformare gli atleti stessi in dei, forse anche anticipando  quello che sarebbe accaduto proprio a partire da quegli anni Settanta, quando la fama e l’esplosione mediatica ha fatto ascendere i protagonisti dello sport fino all’Olimpo, divinizzandoli.

A spiegarci l’ispirazione le parole dello stesso Gazzaniga, riportate dal nipote:

“Per creare un simbolo universale della sportività e dell’armonia del mondo sportivo, mi sono ispirato a due immagini fondamentali: quelle dell’atleta che esulta e del mondo. Volevo ottenere una rappresentazione plastica dello sforzo che potesse esprimere simultaneamente l’armonia, la sobrietà e la pace. La figura doveva essere lineare, forte e dinamica per attirare l’attenzione sul protagonista, cioè sul calciatore, un uomo trasformato in gigante dalla vittoria, senza tuttavia avere niente di super-umano. Questo eroe sportivo avrebbe riunito in sé stesso tutti gli sforzi e i sacrifici richiesti giorno per giorno ai suoi fratelli e avrebbe incarnato il carattere universale dello sport come impegno e liberazione, stringendo il mondo tra le sue braccia”.

La deificazione dell’uomo normale che diventa eroe con il sacrificio.

“Ho creato la forma liberamente. Il trofeo rappresenta due giocatori che alzano le braccia verso l’alto nella gioia esultante della vittoria. Racchiude in sé il dinamismo, la forza e la velocità dell’azione, lo sforzo sportivo e l’emozione, l’esaltazione fortissima di trovarsi in cima al mondo. L’atleta è il protagonista assoluto dell’opera e sorregge il mondo nella felicità e nell’entusiasmo della vittoria. Chi vince una competizione così dura e prestigiosa assume nel momento della vittoria la dimensione di un gigante e il suo premio, la Coppa, per diventare un’icona mondiale, deve saper esprimere tutto questo”.

Parole che sintetizzano il passaggio dalla vittoria alata, dea protagonista, all’atleta vincente, che si fa dio attraverso la vittoria.

Il successo della coppa a livello internazionale segna anche un incremento della produzione artistica di Gazzaniga, vengono tra le altre commissionate e realizzate, per il calcio, le attuali Supercoppa Europea e Coppa Uefa, ora Europa League, che seguono tutte la stessa tecnica di creazione:

“Le coppe di una volta erano comunemente realizzate in lastra e tornite. Quelle create da Silvio, invece, sono coppe che abbinano e miscelano un modellato scultoreo anche con parti in lastra. Sono trofei che devono essere lavorati e fusi come opere d’arte, come si è sempre fatto con le statue dall’antica Grecia in avanti. Molto spesso i modelli rappresentano un’immagine corale di atleti, come nel caso della Coppa UEFA, della Coppa Under 21 e della stessa Coppa del Mondo di calcio. Questa “impronta” dello scultore milanese sottolinea l’artisticità del modellato contrapposta alla semplicità della lastra tornita, permettendo di esprimere fisicità e movimento dinamico e nello stesso tempo trasmettendo i valori e il senso del gioco di squadra, fondamentali in uno sport come il calcio.”

Questa coppa, brillante e seducente, rappresenta un sogno che, a partire dal 1974, hanno realizzato sei nazionali, dodici campioni, tra i giocatori più famosi del mondo, icone quali Franz Beckenbauer, Dino Zoff, Diego Armando Maradona, hanno potuto stringerla tra le mani, amante fascinosa, sollevandola agli sguardi ammirati di tutti.

“Come il sacerdote che innalza l’ostia o la croce davanti ai fedeli per la consacrazione, assistiamo nel rettangolo di gioco al capitano della squadra vincente che alza la coppa al cielo davanti ai tifosi esultanti, come celebrazione del calcio come religione pagana.”

Nella nostra memoria resta quando quel sogno l’ha realizzato la nostra nazionale, nel cuore portiamo le immagini delle mani di Zoff nel 1982, ci ha fatto esultare Fabio Cannavaro nel 2006, quando il cielo è diventato azzurro sopra Berlino.

Forse nel 2038 concluderà il suo ciclo e potrebbe venire sostituita, sempre resterà, imperitura, a simbolo del genio italiano.

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allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore. Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.). Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016). Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.

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