La Penna degli Altri
Kurt Hamrin, un “uccellino” che ha fatto il nido in Italia
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6 anni agoon
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RedazioneSPORTHISTORIA – Gli anni ’50 sono caratterizzati, per il nostro Calcio, dalla calata in massa di giocatori stranieri provenienti dalla Scandinavia, principalmente danesi – chi non ricorda John e Karl Aage Hansen e Karl Aage Praest, che indossano la maglia della Juventus – e, soprattutto, svedesi, alcuni del quali reduci dal trionfo alle Olimpiadi di Londra ’48, come il celebre trio formato da Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e Nils Liedholm (ribattezzato “Gre-No-Li”) che fa le fortune rossonere nella prima metà del decennio, cui seguono Lennart Skoglund, Hasse Jeppson ed Arne Selmosson, solo per ricordare i più famosi …
Era un calcio, quello che si praticava all’epoca in Svezia, così come negli altri Paesi scandinavi, all’insegna del puro dilettantismo, e l’essere approdati nel Bel Paese rappresenta per detti giocatori, peraltro di elevate qualità tecniche, una sorta di Eldorado dove potersi sistemare per il resto della vita, ed è pertanto logico che le “sirene” di una tale opportunità giungano alle orecchie di coloro che, al contrario, sono ancora costretti, in Patria, a svolgere un lavoro per mantenere la propria famiglia.
Uno di questi, di una decina d’anni più giovane rispetto ai citati connazionali, ma che già ha avuto modo di mettersi in luce nella formazione dell’AIK Stoccolma, è Kurt Hamrin, protagonista della nostra Storia odierna e che si innamora talmente della penisola italiana da non lasciarla più.
Nato, difatti, nella Capitale svedese il 19 novembre 1934 – per rendere l’idea, Gren, Nordahl e Liedholm erano, a scalare, delle rispettive classi 1920, ’21 e ’22 – Hamrin debutta 18enne nell’AIK e già dalla stagione successiva si mette in evidenza realizzando 15 reti in 22 gare di Campionato per quello, stiamo parlando del 1953, che rappresenta una tappa importante della sua carriera, sportiva e personale.
E’ difatti in tale anno che Kurt sposa Marianne, la compagna di tutta una vita, di due anni più giovane e che all’epoca lavora in una panetteria, mentre lui, figlio di un imbianchino, presta la propria opera in una zincografia di cui si serve il quotidiano “Dagens Nyheter” (in italiano, letteralmente “Notizie d’oggi”), ricevendo uno dei più graditi regali di nozze da Rudolf “Putte” Kock, ovverossia il Commissario Tecnico della Nazionale svedese, che lo fa esordire l’8 ottobre ’53 a Bruxelles contro il Belgio, gara conclusa con una sconfitta per 0-2 che certifica la qualificazione dei “Diavoli Rossi” ai Mondiali di Svizzera ’54.
Occorre precisare come la Federazione attuasse una politica autarchica, nel senso che ne erano esclusi i giocatori che si erano trasferiti all’estero, atteggiamento di cui fa le spese anche Hamrin – che nel frattempo ha avuto modo di realizzare la sua prima rete in Nazionale nientemeno che al “Nepstadion” di Budapest, davanti ad 80mila spettatori, allorché la Svezia impone il pari per 2-2 alla “Grande Ungheria” di Puskas che, appena 10 giorni dopo, avrebbe umiliato l’Inghilterra con il celebre 6-3 di Wembley – dal momento in cui si trasferisce in Italia.
Già, perché nell’AIK il 20enne Kurt continua ad andare regolarmente a segno, tanto da aggiudicarsi il titolo di Capocannoniere nel ’54 con 22 reti in altrettante gare disputate e, poiché anche nella Capitale svedese la FIAT ha una propria Succursale, ecco che delle sue imprese iniziano ad interessarsi anche gli osservatori della Juventus, e quando uno di loro si reca a Lisbona il 20 novembre ’55 per assistere alla sfida tra Svezia e Portogallo, conclusa sul 6-2 per i gialloblù, non pone tempo in mezzo nel contattare la guizzante ala destra e proporgli un ingaggio con il Club bianconero.
Offerta che Hamrin accetta, ma non prima di essersi consultato con la fedele Marianne, ed eccoli dunque salire sull’aereo per atterrare a Milano, e da qui proseguire per il Capoluogo piemontese nell’estate ’56, con la Juventus a sborsare 15mila dollari al Club svedese per assicurarsene le prestazioni.
Reduci da due stagioni anonime – settimi nel ’55 ed addirittura 12esimi l’anno seguente – i bianconeri fanno molto affidamento sulle capacità della piccola ala svedese (alto 170 centimetri …) per cercare di invertire la tendenza, e gli inizi sono più che positivi, visto che all’esordio nel nostro Campionato, Hamrin mette a segno una doppietta nel successo esterno per 3-0 a Roma contro la Lazio del 16 settembre ‘56, per poi siglare la rete di apertura nel 2-0 rifilato alla SPAL una settimana dopo nel debutto al “Comunale” davanti ai suoi nuovi tifosi.
Tutto quello che i suoi connazionali gli avevano raccontato si stava realizzando per Kurt, ma il sogno più volte accarezzato si scontra con la dura realtà di una frattura al quinto metatarso del piede destro che viene mal curata dallo staff medico bianconero, costringendolo ad affrettati recuperi e conseguenti ricadute, con il risultato di saltare 11 delle 34 gare in calendario e far sì che la stagione si concluda per la Juventus con un’anonima nona posizione, con 11 vittorie, altrettanti pareggi e ben 12 sconfitte, per le quali occorre rilevare come 7 delle stesse siano avvenute senza che Hamrin scendesse in campo.
E, nonostante l’Avvocato Gianni Agnelli avesse intuito, nonché apprezzato, le qualità tecniche del giovane svedese, non si può certo dar torto alla Società di Piazza Crimea nel puntare, per l’anno successivo, sulla coppia di stranieri costituita da John Charles ed Enrique Omar Sivori, con tanto di immediata conquista dello Scudetto, mentre Hamrin viene ceduto in prestito al Padova del “Paron” Nereo Rocco, accompagnato dalla poco edificante etichetta di “caviglia di vetro”, formazione patavina dalla quale i bianconeri ottengono il “gioiellino” Bruno Nicolé, appena 17enne, e che manterrà solo in parte le aspettative.
[…]
Altra stagione da incorniciare, per Hamrin, e che si conclude in gloria dal momento che la Federazione svedese, in quanto Paese organizzatore dei Campionati Mondiali ’58, torna sui propri passi e, nel mentre Gren (”il Profesdsore” …) aveva già riconquistato la maglia della Nazionale, essendo tornato in patria nel 1956 dopo sette stagioni in Italia, anche altri “emigrati” vengono selezionati per poter allestire una formazione competitiva.
Ed ecco, allora, assegnare i gradi di Capitano al rossonero Nils Liedholm e comporre un attacco da favola con Hamrin, Gren, Simonsson e Skoglund, per un percorso che vede i padroni di casa giungere sino alla Finale, grazie anche alle prodezze del 24enne Kurt, che realizza la doppietta con cui la Svezia supera 2-1 l’Ungheria (altra “squadra del destino”, evidentemente …) nel Girone eliminatorio, per poi ripetersi sbloccando, ad inizio ripresa, il Quarto di finale contro l’Urss di un “certo” Jashin tra i pali e quindi mettere il punto esclamativo, a 2’ dal termine, nel 3-1 con cui i padroni di casa liquidano la Germania in semifinale, prima di arrendersi al Brasile della nuova stella Pelè.
Ce n’è più che a sufficienza per convincere il Presidente della Fiorentina Enrico Befani sul fatto che sia proprio Hamrin il calciatore giusto a cui far indossare la maglia n.7 che per un triennio ha fatto sognare i tifosi viola essendo appartenuta al fuoriclasse brasiliano Julio Botelho “Julinho”, il cui ritorno in Sudamerica ha creato non poche delusioni in riva all’Arno.
Ma si sa, i tifosi fanno presto a cambiare idolo, e l’amore tra Kurt e famiglia (dal matrimonio con Marianne nascono ben cinque figli …) e la città di Dante Alighieri non tarda a sbocciare, ripagando la fiducia della Dirigenza toscana con ben 26 reti in 32 presenze (terzo nella Classifica Cannonieri alle spalle dei soli Angelillo ed Altafini …) che portano la Fiorentina a restare in lotta per lo Scudetto sino alla quart’ultima giornata, allorquando la sconfitta per 0-2 ad Udine concede il via libera al Milan per il quarto Scudetto “italiano” del suo Capitano di Nazionale Nils Liedholm.
Una continuità nell’andare a segno frutto di un innato senso del goal, abbinato ad una facilità di saltare l’uomo inconsueta alle nostre latitudini – lo stesso Kurt ha dichiarato di essersi ispirato a Stanley Matthews, “The Wizard of Dribbling” (“il mago del dribbling”) d’oltremanica, in quanto anch’egli ala destra, pur riconoscendo le immense qualità, sul versante opposto, del connazionale Skoglund – una sorta di “Garrincha nordico” verrebbe da pensare, se non fosse che Mané preferiva andare sul fondo a crossare, mentre Hamrin prediligeva puntare dritto a rete, facendo altresì leva su di una velocità di base non indifferente, il che gli costa l’appellativo di “Uccellino” che si porta dietro per tutta la sua carriera nella nostra Serie A, affibbiatogli da Beppe Pegolotti, un giornalista de “La Nazione”, avendo paragonato la sua corsa al volo di un uccellino, appunto …
Un bottino di reti che Hamrin replica anche l’anno successivo – stavolta superato nella Classifica Cannonieri solo da Sivori che ne realizza 28 – in cui la Fiorentina si piazza per il quarto Campionato consecutivo al secondo posto, per poi essere sconfitta dalla Juventus nella Finale di Coppa Italia disputatasi a San Siro il 18 settembre ’60, con i bianconeri a prevalere per 3-2 ai supplementari.
Ciò consente comunque ai viola, avendo i bianconeri conquistato anche lo Scudetto, di rappresentare l’Italia nella prima edizione della Coppa delle Coppe che, stante l’esiguo numero delle squadre iscritte, vede la Fiorentina entrare in lizza direttamente dai Quarti di finale, avversari i modesti svizzeri del Lucerna che sono costretti, loro malgrado, a fare la “conoscenza” con le capacità realizzative dello svedese che mette a segno la tripletta che decide il match di andata (3-0) a fine novembre ‘60, cui fa seguire una doppietta nel facile 6-2 del ritorno al “Comunale”.
L’impegno europeo distrae la Fiorentina dal Campionato – concluso al settimo posto con Hamrin a mettere a segno 14 reti – ma le consente di approdare alla Finale dopo aver superato gli jugoslavi della Dinamo Zagabria, rischiando al ritorno, dopo il 3-0 dell’andata, allorché, dopo essere andata al riposo sotto 0-2, è provvidenziale la rete di Petris in avvio di ripresa.
Atto conclusivo che prevede una doppia sfida, con gare di andata e ritorno, contro gli scozzesi dei Glasgow Rangers, programmata al 17 maggio ‘61 nelle Highlands ed al 27 successivo in Toscana, proprio mentre la Fiorentina è parimenti impegnata nelle fasi conclusive della Coppa Italia, che supera andando a vincere 6-4 (!!) a Roma contro i giallorossi il 3 maggio e quindi prendendosi la rivincita sulla Juventus, sconfitta 3-1 al “Comunale” di Firenze una settimana dopo.
Qualificati per due Finali di Coppa, i viola realizzano uno straordinario “en plein”, divenendo il primo Club italiano a conquistare un Trofeo continentale, grazie al 2-0 all’Ibrox Park (doppietta di Milan) davanti ad 80mila spettatori ed al 2-1 al ritorno al “Comunale”, dove sulle tribune sono presenti 50mila spettatori per festeggiare il trionfo, certificato dal punto di Hamrin a 4’ dal termine, così da aggiudicarsi anche il titolo di Capocannoniere della manifestazione, con 6 reti.
Non si può ancora andare in vacanza, poiché l’11 giugno, ancora al “Comunale”, è di scena la Finale di Coppa Italia contro la Lazio, una delle “vittime” preferite dello svedese, che però stavolta lascia il relativo compito a Petris in apertura ed a Milan a 10’ dal termine per il 2-0 che suggella una stagione straordinaria.
Una Fiorentina che, anche negli anni a seguire – con validissimi tecnici in panchina quali il leggendario ungherese Nandor Hidegkuti, Fulvio Valcareggi e Giuseppe Chiappella – si distingue in Campionato con ottimi piazzamenti (terza nel 1962, sesta nel ’63, quarta sia nel ’64 che nel ’65), cui Hamrin non fa mancare il proprio contributo realizzativo, tra cui i 19 centri nel ’64, a due sole lunghezze dal Capocannoniere Harald Nielsen del Bologna, con in più anche una seconda Finale consecutiva di Coppa delle Coppe, in cui stavolta i viola soccombono all’Atletico Madrid, dopo che la ripetizione della gara (essendosi conclusa sull’1-1 la sfida del 10 maggio ‘62) si svolge ad inizio settembre a causa della concomitanza coi Campionati Mondiali in Cile e vede gli spagnoli imporsi con un netto 3-0.
Sono gli anni in cui in riva all’Arno sta crescendo quella che viene definita la “Fiorentina ye-ye” per i molti giovani lanciati in prima squadra ed alla quale l’oramai più che 30enne Hamrin fa da chioccia, riuscendo peraltro a mantenere il suo elevato contributo in fatto di reti – nuovamente in doppia cifra nel ’66 (12) e nel ’67 (16, a due lunghezze dal Capocannoniere Riva del Cagliari …) – ed a cogliere altri due Trofei al termine della stagione ’66, allorché i viola conquistano la loro terza Coppa Italia al termine di un percorso che li vede eliminare il Milan nei Quarti (3-1 a San Siro con una rete di Hamrin) ed in semifinale l’Inter al “Comunale” (2-1 “targato” Brugnera ed Hamrin), prima di avere la meglio in Finale solo ai supplementari della rivelazione Catanzaro, sconfitto per 2-1 il 19 maggio a Roma, dopo che lo svedese aveva aperto le marcature, per poi aggiungere il successo nella “Mitropa Cup”, grazie alla vittoria per 1-0 contro i cechi dello Jednota Trencin.
Avvicinatosi al compimento dei 33 anni, tutto si sarebbe aspettato Hamrin tranne che una chiamata dal suo vecchio allenatore Nereo Rocco, tornato ad allenare il Milan dopo un quadriennio al Torino – a dire il vero il “Paron” lo aveva cercato anche durante la militanza granata, ma la contropartita di “appena” 30milioni di vecchie lire chieste dai viola gli aveva fatto credere che “ci fosse sotto qualcosa”, ritenendola troppo bassa per un giocatore di tale livello – lasciando così la città di cui si era innamorato con un’eredità di ben 208 reti, di cui 151 in 289 gare di solo Campionato, record, quest’ultimo, soffiatogli per un solo goal da Batistuta, giunto a quota 152 nel Duemila.
Stavolta, non vi sono conguagli, trattandosi di uno “scambio alla pari” con il brasiliano Amarildo che, dopo due buone stagioni in rossonero, si era fatto notare più per le sue intemperanze nei confronti degli arbitri che non per le giocate, necessitando altresì il Milan di coprire il ruolo di ala destra, viste le difficoltà di Mora a recuperare dal grave infortunio subito a Bologna nel dicembre ’65.
Con due ali nuove di zecca, avendo dato fiducia a sinistra al 21enne Pierino Prati, “il Milan dei senatori” – Rocco aveva preteso, oltre allo svedese, anche l’acquisto del 32enne portiere Fabio Cudicini e del quasi 30enne libero Saul Malatrasi – disputa una stagione superlativa, dominando il Campionato vinto con ampio margine sul Napoli e con Hamrin a non far rimpiangere il suo vecchio tecnico della scelta fatta, andando subito a rete all’esordio a Ferrara contro la SPAL (4-1 il risultato finale), per poi contribuire alla conquista dello Scudetto con 8 reti in 23 presenze, tra cui la doppietta che consente ai rossoneri di imporsi per 3-2 a Torino contro i granata e, per par condicio, la rete decisiva nel 2-1 di fine febbraio, sempre a Torino, ma contro quella Juventus che lo aveva scartato da giovane, anche se il meglio doveva ancora venire…
Un Milan padrone in campo nazionale, si fa altrettanto onore a livello continentale, dove è iscritto alla Coppa delle Coppe e, dopo qualche patema di troppo per superare gli ungheresi del Vasas Gyoer (2-2 esterno ed 1-1 a San Siro) negli ottavi e gli ostici belgi dello Standard Liegi (doppio 1-1 e 2-0 nello spareggio disputato a San Siro) nei quarti, si qualifica per la Finale di Rotterdam del 23 maggio ’69 superando (2-0 a Milano, 0-0 a Monaco di Baviera) il Bayern di Maier, Muller e Beckenbauer.
[…]
Una stagione finita in gloria, il 1968, alla stregua di quella di 10 anni prima con la Finale mondiale – a proposito, Hamrin viene chiamato in Nazionale anche per le fallite qualificazioni agli Europei ’64 ed ai Mondiali di Inghilterra ’66, concludendovi la propria esperienza a settembre ’65 con un più che ragguardevole “score” di 16 reti in 32 presenze – e che per lo svedese, oramai avviato ai capitoli di coda della sua meravigliosa carriera, ha un’esaltante appendice l’anno seguente, allorché, complice anche un intervento al menisco, Rocco lo impiega pressoché esclusivamente in Coppa dei Campioni, dove è determinante nell’accesso del Milan in Finale in virtù del punto del 2-0 realizzato in avvio di ripresa nella semifinale di andata contro i detentori del Manchester United (poi difeso con le unghie e con i denti nella sconfitta per 0-1 al ritorno …) e quindi scendere in campo al “Santiago Bernabeu” per contribuire alla lezione (4-1 con tripletta di Pierino Prati …) inflitta all’Ajax di un giovane Cruijff.
Dipendesse da lui, non vorrebbe mai smettere di giocare, il buon Kurt, ma la carta d’identità reclama i suoi diritti ed eccolo allora approdare al Napoli dove, dopo una prima tribolata stagione con sole 5 presenze ed una rete all’attivo, offre un maggior contributo, nel ’71 a quasi 37 anni, al terzo posto finale dei partenopei, realizzando, il 24 gennaio 1971 nel successo per 1-0 al “San Paolo” contro il Catania, la sua rete n.190 nella nostra Serie A, il che lo colloca tuttora, a quasi 50 anni di distanza, all’ottavo posto della “Classifica All Time” tra i migliori marcatori della nostra Massima Divisione.
Un solo, grande rimpianto, ha caratterizzato la carriera del piccolo “Uccellino”, e non è, come qualcuno potrebbe credere, la mancata vittoria ai Mondiali di Svezia ’58, bensì il fatto di non essere riuscito a conquistare lo Scudetto con l’amata Fiorentina – la sua “Squadra del Cuore” assieme all’AIK – restando peraltro indissolubilmente alla città “Culla del Rinascimento”, dato che ha mantenuto la residenza in Italia e dove se non in zona Coverciano, da cui, affacciandosi alla finestra, può ancora assaporare l’odore di quel Calcio che tutto ha rappresentato per lui, anche se a fatica si riconosce nel gioco odierno, soprattutto per la ridotta lealtà e correttezza tra i giocatori, detto da uno che in carriera non è mai stato espulso né ammonito …
Kurt non lo sa, ma a vincere un Mondiale in qualche modo ha contribuito, perché a metà anni ’60 c’era un ragazzino sui 10 anni che, con il padre, andava da Prato a Firenze non tanto per vedere la Fiorentina quanto proprio lo svedese, per imparare le sue finte, carpirne le astuzie, i segreti di come facesse a segnare così tanto facendosi beffa di difensori molto più alti e robusti di lui.
Quel ragazzino si chiama Paolo Rossi, Capocannoniere nel trionfo dell’Italia al Mondiale di Spagna ’82, ed anche per questo, grazie di tutto, Kurt, impossibile non volerti bene …
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