La passione e il trasporto con cui migliaia e migliaia di tifosi, in tutto il mondo, seguono il calcio a volte porta a considerarlo un mondo a parte, scevro dalle umane incombenze, innalzando i suoi protagonisti ad algidi eroi intoccabili.
Non è così, naturalmente, perché come tutte le cose umane anche il calcio, e i suoi protagonisti, è fallace, soggetto a quelli che sono i normali mutamenti del ciclo umano.
Si vive, si diventa, magari, importanti, in certi casi può arrivare addirittura una sorta di deificazione, ma alla fine si muore, si conclude un percorso di vita, esattamente come nella realtà, lasciando un’eredità morale, questa sì, che può far ascendere i protagonisti al mito, all’empireo eterno.
La tragicità di quanto scritto spesso si rivela nel calcio con eventi drammatici, che colpiscono ancor di più l’opinione pubblica, perché oltre a coinvolgere quelli che sono considerati eroi, vede attori principali giovani che sono nel fiore degli anni e nel pieno delle forze, l’interruzione innaturale di un percorso di vita che doveva avere altri esiti.
Non ci soffermiamo su quanto accade intorno al campo di gioco, a margine dell’evento sportivo, spesso usato come pretesto proprio per creare disordini, che poi sfociano nel dramma: l’incendio delle tribune dello stadio di Bradford in Inghilterra, la famigerata Curva Z dell’ex stadio “Heysel”, la tragedia dello stadio “Luzniki” di Mosca, di Hillsborough, di Lima, la morte di Vincenzo Paparelli o di Filippo Raciti, per restare ai nostri lidi, una lunga striscia di sangue dovuta molto all’imperizia e tanto alla casualità, ma già un modo per capire come il mondo dello sport non sia al riparo da eventi incidentali che, purtroppo, si registrano nella vita comune.
C’è, poi, una lunga lista di eventi luttuosi di calciatori morti sul campo, o nel pieno della loro attività, si inizia, da noi, con Renato Curi del Perugia, si prosegue con Antonio Puerta, con Davide Astori, drammatico quanto accadde sul campo a Marc-Vivien Foe, Miklos Feher, Piemario Morosini, con ancora negli occhi le immagini del malore di Christian Eriksen o, recentemente, di Edoardo Bove, cui è stata almeno concessa una seconda possibilità.
E ancora possiamo citare gli incidenti, soprattutto aerei: Torino 1949, Manchester United 1958, Zambia 1993, Chapecoense 2016.
Questi restano, comunque, eventi casuali, imprevedibili, legati semplicemente alla fragilità della natura umana, ma quello che vogliamo trattare ora è quando, invece, il destino viene forzato, dove interviene la parte oscura dell’animo umano a troncare altre vite che, poiché riguardano il campo stesso, portano all’interno del calcio la loro spirale di violenza.
L’epicentro geografico di quanto andiamo a scrivere si trova nella punta settentrionale dell’America Meridionale: la Colombia.
22 JUN 1994: CARLOS VALDERRAMA OF COLOMBIA IS CHASED BY JOHN HARKES OF USA DURING THE USA VERSUS COLOMBIA MATCH . GAME FIFTEEN IN THE FIRST STAGE OF THE 1994 WORLD CUP FINALS. Mandatory Credit: Stephen Dunn/ALLSPORT
Paese dal ricco patrimonio culturale per essere stato l’incrocio di varie culture, americane prima ed europee poi, questo paese vive già un’inquietudine politica con la lotta tra esercito regolare e fronte guerrigliero, una instabilità datata che ha portato allo sviluppo di quella che per anni è stata l’attività principale colombiana: il commercio della droga.
Questa attività illegale portò alla formazione di varie organizzazioni, note come “cartelli della droga”, che gestivano le loro aree di controllo con estrema violenza, e i cui capi divennero ricchissimi e molto influenti, tanto da entrare anche nella vita politica e sociale del paese.
Uno dei cartelli più noti fu quello di Medellin, capeggiato dal feroce Pablo Escobar che, tra il 1976 e il 1993, stabilì in quella città il suo quartier generale.
In una maniera o nell’altra le vicende di questi cartelli e dei suoi protagonisti finirono per incrociarsi anche con il pallone: vuoi perché tifosi, in quanto la passione non conosce condizione, ceto sociale o colore politico, vuoi per la possibilità di “pulire” il denaro proveniente dall’illecito commercio della droga, Escobar finì per controllare e diventare presidente dell’Atletico Nacional di Medellin.
Questa era tra le squadre più importanti della nazione, famosa anche per applicare la politica dei “puros criollos”, cioè di ingaggiare solo calciatori colombiani, e sotto la guida di Francisco Maturana, allenatore che aveva idee innovative simili a quelle di Arrigo Sacchi, divenne tra le più vincenti del continente, arrivando a sfidare lo stesso Milan sacchiano per la Coppa Intercontinentale del 1989, vinta dai rossoneri, rendendo famosi nel mondo i nomi di René Higuita, Andres Escobar, Leonel Alvarez, John Trellez.
L’apparenza sportiva, però, celava la violenza: nel 1989 a farne le spese fu un arbitro, per aver annullato un gol all’altra squadra di Medellin, l’Independiente, che però giocava contro i rivali dell’America di Cali.
Un’azione che rientra nell’ambito del gioco, giusta o sbagliata che sia, ma che segnò la condanna di Alvaro Ortega, che diresse quel match, ucciso nel novembre di quell’anno su ordine di Escobar per quella partita contro la squadra di Cali, controllata da un altro cartello comandato dai fratelli Rodriguez.
Il caso più clamoroso, però, sarebbe capitato alcuni anni dopo.
22 JUN 1994: THE NATIONAL SOCCER TEAM OF COLOMBIA LINE UP PRIOR TO THEIR 1994 WORLD CUP MATCH AGAINST THE USA AT THE ROSE BOWL IN PASADENA, CALIFORNIA. Mandatory Credit: Shaun Botterill/ALLSPORT
Le violenze e i soprusi del cartello di Medellin, la guerra contro quello di Cali, ma anche gli interventi dei servizi americani, giunsero al termine quando, dopo un blitz nel dicembre del 1993 che aveva portato alla scoperta del rifugio di Pablo Escobar, lo stesso fu ucciso.
Come sempre accade in queste situazioni a forte controllo centrale, la fine dell’”imperatore della cocaina” causò ulteriori violenze per il controllo del suo impero, e ancora il calcio, nella forma della nazionale colombiana, divenne una speranza per un futuro migliore.
I “Cafeteros” nel 1994 parteciparono al mondiale americano fiduciosi di migliorare gli ottavi raggiunti a Italia ’90 con una squadra innervata, sulla base dei giocatori del Nacional, dalle giocate di Carlos Valderrama, il “Gullit Biondo”, e di Tino Asprilla, che militava nel Parma, e con l’entusiasmo per aver vinto nelle qualificazioni cinque a zero contro l’Argentina, costringendo la squadra del rientrante Diego Armando Maradona a cercare la qualificazione, poi ottenuta, nello spareggio con l’Australia.
Inclusi nel Gruppo A con Romania, Stati Uniti e Svizzera, dopo aver perso all’esordio con la Romania (tre a uno), per la nazionale allenata da Maturana fu fatale la sconfitta contro i padroni di casa (due a uno), con le marcature aperte da un’autorete di Andres Escobar.
Una situazione che capita sui campi di gioco, ma che assunse toni tragici perché meno di un mese dopo Escobar fu ucciso fuori da un locale, dopo un alterco in cui gli fu rinfacciato quell’autogol.
Se sia stato quello il motivo, o altro, o se fu solo la conseguenza di un litigio, non è ancora del tutto chiaro a distanza di anni, ma quell’episodio tragico lascia ben capire il clima che si viveva in Colombia in quegli anni, e segna la definitiva perdita di innocenza del calcio, che vedeva entrare direttamente in campo la morte criminale.
Con gli anni la situazione sembrava essersi normalizzata, ma giocare al calcio in Sud America resta sempre difficile e pericoloso.
È alla fine del 2023 che bisogna registrare l’uccisione di Edgar Paes Cortes, presidente della squadra colombiana del Tigre poche ore dopo la sconfitta subita contro l’Atletico di Cali, da parte di due sicari in motocicletta mentre rientrava a casa.
Anche qui è da stabilire se quell’omicidio sia legato direttamente al calcio o siano altri i motivi, solo una coincidenza che lo ha fatto seguire alla partita, resta la morte di un uomo legato al mondo del pallone, come il povero Andres Escobar, che forse ha visto la sua vita troncata per un maledetto autogol.
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.