[…] Non si può non ritornare, in prima battuta, a quel 20 maggio, allo scontro tra la Samp di Boškov e il primo Dream Team di Cruijff. Le istantanee di quel match rimbombano ancora oggi in modo spietato: le diverse occasioni mancate dai doriani; la punizione-laser di Koeman che frantuma il “tempo fermo” dei supplementari (al minuto 111) mentre Pagliuca è già proiettato mentalmente sulle inclinazioni e i tic dei rigoristi blaugrana; su tutto, il pathos opposto del post-partita. Da una parte, l’estasi blaugrana: il “guerriero basco” Alexanco che percorre solennemente i 39 gradini – proprio come nel film di Hitchcock – verso il palco della premiazione; e il giovane Pep che gira avvolto nella bandiera catalana, in sfregio all’anniversario della “sexta” madridista. Dall’altra, il marasma blucerchiato, col capitano Mancio che rincorre – trattenuto da Mimmo Arnuzzo – l’arbitro tedesco Arno Schmidhuber, già messo nel mirino due mesi prima (quando gli aveva annullato un gol contro l’Anderlecht) e ora reo di aver fischiato la “dubbia” punizione battuta da Koeman. Appendice surreale: una premiazione livida, col Mancio – gli occhi gonfi di lacrime di rabbia – che offre la mano inerte a quella del presidente UEFA Johansson; e una conferenza stampa (evento senza precedenti) disertata da uno delle due squadre, dato che per i doriani non si presentano né il tecnico né il capitano.
[…] A questa ferita originaria (Wembley, la Champions), Mancini & Vialli aggiungeranno le ferite in azzurro; cioè, nel dettaglio, i fallimenti ai Mondiali ’90 e ‘94; quest’ultimo, in particolare, invelenito per tutti e due dai contrasti e dalle incomprensioni con Sacchi, fino alla rinuncia: anche se lo zelo mediatico – puntiglioso fino alla morbosità nel ricostruire quelle tensioni – ha completamente rimosso le dichiarazioni successive dei due giocatori, anche recenti, sul loro rimpianto di non aver accettato le riaperture di Arrigo prima del torneo.
[…] Dopo il ’94, i percorsi degli “inseparabili” non potrebbero essere – per quasi un quarto di secolo – più divergenti. Il Mancio – riassumendo brutalmente – entra nella fase-Eriksson, il tecnico già avuto (o meglio voluto, da lui e da Vialli) alla Samp del post- Boškov, con cui vince alla Lazio un secondo scudetto da underdog, esercitando già sul campo – l’ha ricordato Eriksson stesso – come allenatore. È una fase, per inciso, di imprinting decisiva, perché proprio la Lazio dello svedese si sedimenterà nell’archivio mentale del Mancio come un software fondativo, un primo “strato” di architettura dinamica in cui verranno calate le conoscenze successive, fino alla sintesi della Nazionale.
[…] Vialli, da parte sua, quell’avvicinamento l’ha cominciato dieci anni prima, approdando a Londra sponda Chelsea, dove in un quinquennio, tra ’96 e 2000, è attivo come giocatore, player-manager e coach puro, senza arrivare alla Premier ma vincendo 5 titoli tra Regno Unito e Europa; spiccano, in particolare, una Coppa delle Coppe nel 1998 stendendo in finale lo Stoccarda del giovane Joachim Löw (dopo aver eliminato in semifinale il Vicenza di Guidolin) e una Supercoppa (stesso anno) stendendo il Real che aveva steso la Juve di Lippi in finale Champions. A Stamford Bridge, Vialli diventa il dominus dopo altri due player-manager, Glenn Hoddle e Ruud Gullit; pratica e ruolo ormai al tramonto, secondo un trend avviato in Inghilterra nei ’70, che vedrà ancora qualche ultimo esempio isolato, come un altro doriano, Attilio Lombardo, al Crystal Palace.
(ULTIMOUOMO.COM di Sandro Modeo)