Quando il rugby sfidò il calcio - Gli Eroi del Calcio
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Quando il rugby sfidò il calcio

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Il rapporto tra rugby e calcio

«Il rugby dovrà essere il calmiere del football», enuncia Piero Paselli, pioniere della palla ovale. E’ il 4 ottobre 1928 e “Il Littoriale” dà spazio in prima pagina alla rapida ascesa in Italia del nuovo sport. «Non voglio dire con ciò che esso debba soppiantare il giuoco del pallone rotondo», spiega Paselli, «ma dovrà dare certo un taglio netto a tutto ciò che ha di esorbitante pretesa da parte di assi improvvisati, o di impresari scaltri e disonesti». Al momento della sua prima apparizione, dunque, il rugby si propone al pubblico come disciplina nobile ed esemplare. «Sport duro, il nostro, ma sport puro», giura un altro dei pionieri, Stefano Bellandi. 

Per l’esuberanza violenta del tifo e una già spinta commercializzazione il calcio faceva indignare molti, anche fra i gerarchi del regime. Agli occhi dei suoi propugnatori il rugby, ispirato al fair play e a un rigoroso dilettantismo, si propone come alternativa non ancora contaminata dagli istinti delle masse e dal potere del denaro. Scrive Augusto Turati, presidente del Coni: «Il gioco del calcio, forse lo sport più popolare del nostro Paese, permette degli eccessi, più che antisportivi, incivili. Ritengo che pochi sport valgano il rugby, quando si consideri il complesso dei compiti educativi. Nel programma che intendo attuare a vantaggio delleducazione fisica della nostra gioventù, occupa un posto di primo ordine» (“Lo sport fascista”, dicembre 1928).

Nell’ambiente della palla ovale hanno dunque origini antiche l’idea di appartenere ad un élite e la presunzione di una superiorità morale sul calcio, peraltro irraggiungibile per scala di interesse. E pur parenti stretti con un comune progenitore nel football inglese di metà Ottocento, in Italia i due sport intratterrano per sempre una relazione controversa.

Lo slancio ideale del rugby è subito messo a dura prova. Più che ai britannici custodi dell’etica del gioco, il movimento si ispira al sistema-calcio il cui successo di pubblico è di fronte agli occhi. Nel 1929 nasce il campionato (in Inghilterra un torneo nazionale non esisterà fino al 1987), con partite di domenica (gli anglossassoni giocano di sabato, poi la sera si ubriacano). E per far crescere le conoscenze tecniche appare scontato ingaggiare allenatori stranieri, i Violak, i Weisz, i Felsner della palla ovale. L’Ambrosiana si affida al gallese Tom Potter, ritenuto un guru in Francia per aver condotto al vertice il Pau.

La Lazio chiama l’inglese John Thomas e trapela con un certo clamore che questi percepirebbe l’invidiabile somma di 2.500 lire al mese (ricordate la canzone? “Se potessi avere…”). Anche se l’eccentrico Potter se ne va da Milano dopo soli tre mesi, direzione Tolone, crescenti malumori accompagnano il successo che il rugby sta guadagnando nella penisola. Ad appena un anno dalla sua fondazione la Fir viene soppressa, condannando la disciplina all’anonimato. Il presidente dalla disciolta federazione, Giorgio Vaccaro, dichiara che «il movimento, allontanandosi dai sani e più volte affermati principi del dilettantismo puro, dava già segni non dubbi di adottare quel mancato guadagno” che già fu tanto discusso nel calcio».

Ma gli appassionati pionieri non si danno per vinti, forti anche delle simpatie del regime. Per l’esaltazione del collettivo, anche per una sua certa brutalità, il rugby è in sintonia con il mito dominante del cosiddetto “uomo nuovo” fascista. «Chiediamo solo di giocare per poter dimostrare ancora una volta a dispetto di tutti i denigratori il nostro diritto di figurare degnamente fra i difensori del buon nome dello sport italiano. Dateci una Federazione e sapremo mostrarcene degni», è l’appello di Paselli nel luglio 1930. A sorpresa la soluzione del Coni. Il rugby viene affidato all’egida della Figc, proprio sotto lombrello dello sport maggioritario di cui, secondo gli intenti iniziali, avrebbe dovuto rappresentare lantagonista. Si tratterà di una sofferta cattività.

La Figc istituisce un Direttorio ad hoc con i maggiori dirigenti della palla ovale e la guida di Ottorino Barassi, allora dirigente emergente del calcio italiano. Il vantaggio di appartenere ad una grande federazione si concretizza nell’abbattimento dei costi di gestione, ma più gravoso per i rugbisti è il disinteresse per lo sviluppo della propria disciplina, la quale, sostengono in Figc, «non interessa le folle». Paselli risponde dedicando tutto lo spazio a disposizione in “Lo sport fascista” per «citare dati e fatti inerenti alla diffusione mondiale» della palla ovale, con foto di stadi gremiti a Cardiff e Parigi. Il titolo: “Rugby sport di folla” (novembre 1930). Il campionato è ridotto alla dimensione di “torneo federale” di poche giornate.

Nel ’30 è tornata in campo la Nazionale, in debito con i catalani del retour-match dopo l’esordio assoluto di Barcellona. Ma se quello del 20 maggio 1929 era stato un evento in grande stile, alla presenza di 70mila spettatori, l’organizzazione per il debutto azzurro a Milano è delegata al Dopolavoro. A selezionare la squadra è chiamato un ex portiere, il popolare Arturo Cameroni soprannominato Uomo di gomma”, legato all’ambiente milanese: è molto amico di Stefano Bellandi, a sua volta buon arbitro di calcio, e Algiso Rampoldi ne è stato il testimone di nozze.

Benchè priva di preparazione (gli azzurri si sono incontrati solamente il giorno prima della partita) e con un inopinato ct in Cameroni, la Nazionale il 29 maggio 1930 conquista il primo successo della propria storia grazie al 3-0 sulla Spagna con la meta di Paolo Vinci. Circa duemila spettatori applaudono all’Arena Civica.

Le strade del calcio e del rugby tornano a dividersi nell’ottobre ’32, con buona pace di entrambi. Anche condividere i pochi impianti causa problemi di convivenza che si trascineranno per decenni. Dell’accusa «il rugby rovina il campo» la stampa riporta traccia fin da allora. Il segretario del Pnf Achille Starace, ancor prima di intestarsi la conduzione del Coni, ha intanto diffuso a febbraio una circolare alle organizzazioni giovanili. Si ordina: «Il rugby deve essere praticato e largamente diffuso tra la gioventù fascista». Starace individua cioè nella palla ovale «il gioco più adatto a quello che deve essere lo spirito di combattimento e la quadrata preparazione fisica» dellitaliano, in quanto cittadino e soldato. 

Mentre il calcio è ormai la grande passione del paese, il rugby diviene parte dell’educazione militare e accetta definitivamente la dimensione di sport minore. Ottiene tuttavia di avere un proprio organismo dirigenziale con il nome di Federazione Italiana Palla Ovale, sotto la direzione dell’ingegnere genovese Giovanni Peregallo già vicepresidente dell’Unione Velocipedistica Italiana.

I successi internazionali inaugurati dagli azzurri di Vittorio Pozzo nel 1934 spazzano via, anche in seno al regime, ogni remora per le degenerazioni del calcio. L’oriundo “Mumo” Orsi, per il cui ingaggio alla Juventus si era gridato allo scandalo, è fra coloro che alzano la Coppa Rimet a Roma. Primo presidente della Fir e turbato autore della soppressione della «creatura viziata e già corrotta», Giorgio Vaccaro diviene il numero uno della Federcalcio e del Coni e sarà il volto pubblico dei trionfi dello sport fascista degli anni Trenta. 

GLIEROIDELCALCIO.COM (Elvis Lucchese)

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Classe 1972, ha scritto a lungo di rugby per i quotidiani del gruppo Eqv e per il Corriere del Veneto. Ha inoltre curato i blog RugbyPeople e La terra del rugby. È autore di La finta di Ivan (2007), Alessandro Troncon condottiero azzurro (2007), Meta Nuova Zelanda (2013) e Sport di combattimento. Gli esordi del rugby in Veneto, 1927/1945 (2017). Ha contribuito ai volumi collettivi La Sesta Nazione (2008), Le rugby, une histoire entre village et monde (2011), Che Guevara, il rugby e altri scritti sulla palla ovale (2011) e ha curato la sezione Le donne del rugby nel volume Donna e sport (2019). È membro della Società Italiana di Storia dello Sport e coordinatore del progetto “Fir 100”.

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