L’altra Argentina-Olanda … la finale Mondiale del ’78 - Gli Eroi del Calcio
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L’altra Argentina-Olanda … la finale Mondiale del ’78

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In attesa del coinvolgente quarto di finale di stasera tra Argentina e Olanda, in questo articolo ripercorreremo lo storico precedente del 1978, quello in cui ai Mondiali argentini l’Albiceleste sconfisse in finale l’Olanda, inspiegabilmente priva di Johan Cruijff.

Argentina, finalmente

Nel 1974 la Fifa ha eletto un nuovo presidente. È un brasiliano, risponde al nome di João Havelange e ha diverse idee per riformare il calcio internazionale, e di conseguenza anche i Mondiali. Prima di tutto, vorrebbe ampliare il numero di squadre che parteciperanno ai Campionati del mondo. Più avanti ci riuscirà, portandole fino a trentadue, ma per il momento deve accontentarsi delle solite sedici squadre, quelle che di lì a poco ambiranno alla vittoria della prossima Coppa del mondo.

La sede designata a ospitare la kermesse è stata indicata durante il 34° congresso della Fifa, tenutosi a Tokyo. L’Argentina, finalmente, dopo numerosi tentativi, è riuscita a spuntarla e a conquistare l’organizzazione del suo primo sospirato Mondiale.

Il Golpe del ‘76

Dopo l’eliminazione al primo turno della Copa América del 1975, l’allenatore argentino César Luis Menotti è intenzionato a far rodare il più possibile la squadra, inserendo nuovi giovani elementi e giocando molte amichevoli all’estero. Il banco di prova europeo è molto importante per maturare una buona esperienza internazionale.

Il 24 marzo 1976 l’Albiceleste scende quindi in campo contro la Polonia per un’amichevole. Ma mentre gli argentini sono in vantaggio sui polacchi per due gol a uno, contemporaneamente a Buenos Aires un colpo di Stato militare destituisce dalla presidenza Isabela Perón. Gli autori del golpe sono il tenente generale Jorge Rafael Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il generale di brigata Orlando Agosti.

Tutte le trasmissioni radiotelevisive vengono interrotte e sostituite dallo scarno comunicato con cui la giunta militare motiva la presa del potere: «porre fine al caos istituzionale, sociale e amministrativo che si era impadronito della Repubblica». L’unico programma che viene mandato regolarmente in onda è proprio la partita di calcio tra Argentina e Polonia.

La nuova giunta militare è consapevole di quanto il fútbol sia importante per la popolazione, dunque è meglio non toccarlo. Anzi, l’ammiraglio Massera nelle settimane successive illustrerà a Videla i grandissimi vantaggi politici e propagandistici che si potrebbero ottenere da un Campionato del mondo ben organizzato.

Videla, in un primo momento, considerava il Mondiale un problema più che un’opportunità. Pensava a tutti quegli occhi indiscreti che avrebbero circolato per le strade argentine. Massera, invece, lo convince proprio del contrario: la forza dell’Argentina sarà proprio gli occhi del resto del mondo. Inoltre, così facendo, si potrebbe far leva su quella massa di indecisi che, in caso di vittoria, si convinceranno sicuramente da quale parte stare.

Videla accetta: l’Argentina ospiterà il Mondiale del 1978.

L’Hitler della Pampa

La dinamica organizzativa del Mondiale appare molto simile a quella dei Giochi Olimpici del 1936, quando Hitler si fece persuadere con gli stessi motivi da Goebbels. Non a caso, Videla sarà soprannominato “l’Hitler della Pampa”.

Il dittatore argentino non perde tempo e ordina subito di istituire l’Eam 78 (Ente Autárquico Mundial 78), un ente per organizzare e dirigere tutti i lavori e le attività collegate ai Mondiali. Non si bada a spese. Si ristrutturano gli stadi, si costruiscono nuovi alberghi per stampa e tifoseria estera, ma soprattutto si radono al suolo i quartieri più degradati delle città in cui si giocheranno le partite: Buenos Aires, Córdoba, Mar del Plata, Rosario e Mendoza.

Tutto il Paese viene contagiato dalla febbre Mundiál. Per sostenere questo dispendioso progetto, si instaura un sistema economico neo-liberista che prevede una maggiore apertura al mercato mondiale. Seguiranno massicce privatizzazioni e un’incontrollata accumulazione di capitale interno ed estero. Sono questi, del resto, i dettami che da qualche tempo i tecnici finanziari stanno diramando in tutta l’America Latina. Li chiamano i “Chicago boys”: sono gli squali della finanza formati nelle accademie statunitensi dell’economista Milton Friedman, Nobel proprio nel 1976.

La Notte delle Matite Spezzate

Il naturale sviluppo di questo Proceso de reorganización nacional è il controllo totale delle masse attraverso lo smembramento dei partiti politici, la chiusura del Parlamento, l’annullamento di tutte le attività politiche e sindacali, la gestione della Corte di Giustizia, la censura, l’abolizione della libertà di stampa e di espressione.

Videla giustifica tutto questo appellandosi alla tutela dell’identità e dell’unità nazionale, un’estrema forma di protezione all’interno delle dinamiche dettate dalla Guerra fredda che da trent’anni sta dividendo il mondo in due blocchi: da una parte i difensori della cristianità e della nazione, dall’altra gli anti cattolici e i comunisti.

Ma i nemici, avverte Videla, non si annidano soltanto all’esterno, si trovano anche – se non soprattutto – all’interno del Paese, acquattati negli anfratti più reconditi e impensati, nelle fibre più profonde della popolazione.

Evidentemente sono considerati tali gli studenti che nel settembre 1976 manifestano in piazza contro l’abolizione del boleto estudiantil, il tesserino studentesco che consentiva sconti sui libri di testo e sui trasporti. Videla manda l’esercito, e in quella che verrà ricordata come la Notte delle Matite Spezzate finiscono in prigione 238 studenti.

Una volta dentro, vengono sottoposti a indicibili torture e sevizie. Lasciati morire di fame e freddo per settimane, bendati, sottoposti a scosse elettriche, pestaggi e stupri in un centro clandestino di detenzione chiamato Banfield, a pochi chilometri dalla capitale.

Johan Cruijff: eterno secondo, per colpa di Franco (?)

Nel frattempo, dopo tre anni a Barcellona, la vita di Johan Cruijff stava proseguendo a gonfie vele. Vivere in Catalogna per lui e la sua famiglia era splendido, davvero fantastico. I figli si sentivano ormai spagnoli a tutti gli effetti e così insieme alla moglie decise che si sarebbero stabiliti lì una volta per tutte.

Tuttavia, a livello sportivo, anche nel 1977 il Barcellona rimase inchiodato al secondo posto. Cruijff cominciava a sentire una profonda frustrazione per una classifica amara che, però, secondo lui non era solo frutto dei risultati sul campo. Più giocava in Spagna, più Cruijff capiva quanto la politica fosse un fattore determinante nella competizione.

Così a un certo punto cominciò a notare che qualcosa non andava e secondo lui la dittatura di Francisco Franco, e la sua predilezione per il Real Madrid (campione di Spagna per due anni di seguito), stava influenzando le sorti del campionato. Pensava fosse quello il motivo dei campionati non vinti dal Barcellona. Si sentiva derubato. Anche perché, come lui stesso ha scritto nella sua autobiografia La mia rivoluzione, non era mai stato così in forma come in quel periodo e tutto faceva presagire che avrebbe trascinato i blaugrana alla vittoria del titolo.

In realtà, a prescindere dalle accuse di Cruijff sulle presunte interferenze politiche nel campionato spagnolo, il dittatore spagnolo era morto due anni prima, nel 1975. Gli ultimi anni della sua dittatura, poi, erano stati i più deboli, anche perché la sua salute aveva già da qualche tempo cominciato a mostrare segni di cedimento. Franco morì la mattina del 20 novembre 1975. Con lui scomparve l’ultimo dei più terribili dittatori europei, e la Spagna si apprestava a entrare in una fragile transizione dal franchismo alla democrazia.

Il riscatto

La triplice delusione con il Barcellona convinse Cruijff a dedicarsi alla causa della nazionale olandese. La possibilità di una pronta riscossa nell’imminente mondiale argentino fu rafforzata da due splendide partite che giocò contro Inghilterra e Belgio.

Il giorno dopo la vittoria per 2-0 a Wembley, un giornale titola ‘A TOTAL SIGHT OF FOOTBALL DELIGHT’, ovverosia: «Una visione totale di delizia calcistica». Una frase splendida che Cruijff non avrebbe più dimenticato. In quel momento fu pervaso dall’ottimismo, ma ciò che accadde il 17 settembre 1977 cambiò per sempre il corso della sua carriera.

Si trovava a casa, e nel bel mezzo di una partita di basket che stava guardando alla televisione, qualcuno suonò al campanello. Alla porta c’era un uomo. Disse di dover consegnare un pacco da parte di una ditta di spedizioni. Ma Johan, quando aprì la porta, si trovò un’arma puntata alla testa e fu costretto dall’uomo a sdraiarsi pancia a terra. L’intera famiglia era a casa, i bambini erano in camera loro, e sua moglie Danny fu a sua volta costretta a sdraiarsi a terra da quel criminale.

Johan provò a dissuaderlo: cosa vuoi, i soldi? Lui però lo immobilizzò e lo legò a un mobile. Nel farlo dovette appoggiare per un attimo l’arma, e in quel momento Danny scattò in piedi e scappò via, uscendo di casa. Il tizio si gettò subito al suo inseguimento. Le urla però furono tali da allarmare l’intero edificio, tutti i vicini si affacciarono dalle rispettive abitazioni. Il tizio fu immediatamente immobilizzato dalla polizia e arrestato.

Nel corso delle indagini, i gendarmi scoprirono che davanti la casa di Cruijff il malvivente aveva parcheggiato un furgoncino con un materasso all’interno. Fu chiaro, allora, che le sue intenzioni fossero quelle di sequestrare Cruijff per chiedere un ingente riscatto.

Convinci Cruijff

Quello che seguì fu per i Cruijff un periodo terribile. Per mesi vissero sotto scorta. Quando viaggiavano, quando portavano i figli a scuola o quando Johan andava ad allenarsi erano sempre seguiti da uomini armati. C’era una pattuglia della polizia permanente nel quartiere, e un’altra lo seguiva quando era al volante. Per sei mesi alcuni agenti dormirono a casa loro, in salotto. L’atmosfera era tesa, di paura. Divenne col tempo un peso davvero insostenibile.

In una situazione del genere, Johan non se la sentì di andarsene all’altro capo del mondo a giocare il Mondiale e lasciare la sua famiglia in Spagna per quasi due mesi. Era da irresponsabili anche rendere pubblica la situazione. Anzi, la polizia gli ordinò di non parlarne con nessuno. Continuavano a ripetergli che c’era il rischio che ad altri folli potessero venire altre idee del genere. Non c’erano più, quindi, le condizioni per poter andare in Argentina con la nazionale olandese. Per partecipare a un mondiale bisognava naturalmente essere pienamente concentrati.

Ernst Happel, il commissario tecnico di allora, cercò comunque di fargli cambiare idea e andò appositamente a Barcellona per convincere Cruijff a partecipare al mondiale. Ma Johan non dubitò mai della sua decisione, nemmeno per un secondo. E poiché la polizia gli aveva consigliato caldamente di non parlare dell’episodio, ad Happel disse che non si considerava in grado, a livello fisico e psicologico, di partecipare a un torneo così importante. Happel non gli credette, anche perché conosceva Cruijff e sapeva che un Mondiale fosse un appuntamento al quale nessun calciatore rinuncerebbe mai.

Allora in Olanda partì la campagna mediatica nazionale «Convinci Cruijff». In quelle settimane gli vennero recapitati sacchi interi di let- tere da persone che volevano fargli cambiare idea e gli chiedevano di unirsi alla nazionale olandese. Ma poiché in ballo c’era la sicurezza della sua famiglia, per lui non fu una grossa rinuncia non partire.

I voli della morte

Intanto, in Argentina, la repressione di Videla stava assumendo forme più sistematiche e modalità sempre più drammatiche. Il dittatore era intenzionato a sradicare ogni residuo di sovversione e opposizione. Ma per non commettere l’errore di Pinochet in Cile, che aveva subìto la condanna mondiale per aver riunito gli oppositori politici in uno stadio di calcio, il dittatore aggirò l’ostacolo ricorrendo in modo massiccio alla repressione clandestina. E così, molti oppositori o presunti tali verranno prelevati in piena notte dalle loro abitazioni e rinchiusi in luoghi di detenzione.

Il più celebre diventerà il centro di addestramento della Marina Militare ESMA, a Buenos Aires, dove i “rei” vengono trasferiti in massa. In questa fucina di morte, dopo giorni di orribili torture e inumane umiliazioni, i detenuti vengono preparati per le esecuzioni.

Gli assassinii veri e propri non si compiono nelle pubbliche piazze, come può accadere nel resto dei Paesi sudamericani, ma sono anch’essi nascosti. L’imperativo rimane quello di fornire all’esterno un’idea di ordine. Così i poveri condannati vengono fatti salire a bordo di aerei militari, sedati e lanciati nel Río de la Plata, oppure gettati in pasto agli squali nell’Oceano Atlantico. Sono i cosiddetti vuelos de la muerte, i voli della morte.

Tante famiglie non avranno mai più notizie dei propri figli, né tantomeno avranno indietro i loro corpi. In quei giorni la parola più frequente che comincia a essere sussurrata è desaparecidos, scomparsi. Poiché dei detenuti non v’è traccia da nessuna parte. Alcune coraggiosissime madri, per questo motivo, costituiranno l’associazione Madri di Plaza de Mayo, chiedendo (spesso invano) la restituzione dei corpi dei loro figli assassinati. Il numero delle vittime di questa guerra sucia, sporca guerra, alla fine della dittatura (1981) ammonterà a diecimila.

Argentina-Olanda, la finale

Il prezioso tagliando della Finale di Argentina ’78 (Collezione Matteo Melodia)

Nel frattempo è iniziato il Mondiale. L’Argentina, dopo aver superato il girone come seconda (dietro all’Italia) e la successiva fase a gruppi grazie a una combine con il Perù (la famosa marmelada peruana), è riuscita a giungere in finale contro l’Olanda.

Il presidente della Fifa Havelange, parlando davanti alle telecamere delle televisioni, osserva: «Finalmente il mondo può vedere l’immagine vera dell’Argentina». Gli fa eco il Segretario di Stato degli Stati Uniti Henry Kissinger, ospite d’onore della manifestazione, che dichiara: «Questo paese ha un grande futuro, a tutti i livelli».

Per non sconfessare i suoi due nuovi potenti amici, pare che Videla abbia organizzato numerosi voli della morte proprio durante le partite dell’Argentina. I boati dei tifosi ai gol di Mario Kempes, sovrastano il rumore degli aerei della morte che sorvolano gli stadi trasportando i desaparecidos pronti per essere gettati ancora vivi in mare.

Quando l’Olanda arrivò in finale contro l’Argentina, la frustrazione di Cruijff peggiorò. La BBC, inoltre, gli chiese di commentare la partita dagli studi di Londra. Furono momenti davvero difficili per lui. Guardando e commentando la partita, come avrebbe ammesso anni più tardi, sentiva che se fosse stato presente, la sua carriera si sarebbe chiusa con un titolo mondiale.

Quando l’Olanda perse la sua seconda finale mondiale consecutiva, si lasciò prendere dallo sconforto. Un dolore acutizzato dal fatto che non avrebbe potuto nemmeno raccontare la verità, cosa che riuscì a fare soltanto trent’anni dopo, nella sua autobiografia. Fu in quel periodo che Cruijff cominciò seriamente a pensare al suo ritiro a soli trentun anni.

L’Argentina vincerà il Mondiale battendo l’Olanda 3-1. Ma se dentro il Monumental si vinceva una Coppa del Mondo, fuori si perdeva un Paese. Il popolo argentino si ingannò o fu ingannato?

La risposta corretta si trova forse nelle parole che il filosofo tedesco Gunther Anders scrisse in una lettera a Claude Eatherly, che faceva parte dell’equipaggio aereo che nell’agosto del 1945 lanciò le sue bombe statunitensi sulla popolazione di Hiroshima e che dopo l’orrore cercò di discolparsi rifiutandosi di essere trattato come un eroe. Anders lo consolò: «Tutti possiamo arrivare a essere degli innocenti colpevoli, ma almeno la tua coscienza è vigile».

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Nato a Cosenza, classe 1985, è storico, regista cinematografico e scrittore. Autore di diversi saggi e documentari sulla storia dello sport, è anche membro della Siss e dell'Anac. Da qualche anno lavora come supplente a Torino e ha da poco fondato la propria casa di produzione.

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